L'”Asina di Balaam” di Don Panfilo tra i doni di Papa Francesco a Castro

Foto: Papa Francesco consegna a Castro i due volumi di Alessandro Pronzato. In uno di essi si parla del nostro collaboratore don Giacomo Panfilo

I miei quattro affezionati lettori  ieri han rischiato di perdermi a causa di un infarto quando ho saputo il titolo dei due libri che il Papa ha regalato a Fidel Castro (in lingua spagnola)  “La nostra bocca si aprì al sorriso” e “Vangeli scomodi” (Edizioni Gribaudi) di Alessandro Pronzato. Il rischio di colpo apoplettico è dovuto al fatto che il primo dei due volumi ha un capitolo (il 29°) tutto dedicato a me “Don Panfilo: quando un prete cavalca l’asina di Balaam”. Il pensare di far parte (sia pure in un angolino) del pacchetto regalo del Papa a Fidel quasi quasi mi ha mandato all’altro mondo.

A PROPOSITO DI UMORISMO E FEDE

Il volume di Pronzato ha come sottotitolo “Umorismo e fede” e porta la questione dell’umorismo nella Chiesa e nella Religione e risponde ad alcune domande frequentissime: La fede lascia posto all’umorismo? Ma cosa c’è da ridere? Voglia di ridere, perché?  Inoltre stabilisce dei rapporti:  Umorismo, un’opera di misericordia inedita; umorismo come dovere; umorismo come prova di umiltà.

Nell’incipit del 29° capitolo del suo libro, quello che mi riguarda, Don Pronzato ricorda le mie due operette L’Asina e il Sinodo, a cui egli (lo dice lui stesso) attinge quando deve parlare a preti e vescovi… L’Asina in realtà come titolo intero ha “Le opere minori dell’Asina di Balaam” e faccio credere che si tratti di un rotolo trovato tra i famosi reperti di Qumran e che nessuno ha saputo tradurre essendo scritto in orobico antico. Io da orobico moderno l’ho tradotto e dato alle stampe, ma cercando di stare il più vicino possibile all’originale, per cui ne esce un testo in bergamasco maccheronico che contribuisce ad accrescere la comicità del contenuto. I vari “frammenti” del rotolo qumramico avevano come lontano riferimento la situazione ecclesiale della nostra diocesi, per cui la loro pubblicazione non fu proprio gradita a tutti. La “povera” on. Vittoria Quarenghi, un’amica, quando mi vide dopo averla letta, mi disse che l’aveva letta tre volte: una per ridere, e aveva riso tanto; una per misurarne il grado di cattiveria (e lo aveva trovato alto) e una perché, sembrandole impossibile che io avessi perso l’amore alla nostra Chiesa, voleva vedere se invece di questo amore ci fosse anche solo una minima traccia. Mi rasserenò quando mi disse di averne trovato tantissimo.

GESÙ E L’UMORISMO

Nello stesso incipit, don Pronzato cita anche la prefazione, che il prof. Gigi Cortesi aveva fatto alla pubblicazione delle mie due operette apparse in un solo volume edito da Minerva Italica nel 1983. Il Cortesi scriveva che “l’ironia, oltretutto, potrebbe essere forma pastorale efficace”, anzi, per lui “a ben guardarci, per chi voglia essere cristiano l’ironia dovrebbe essere madre e maestra, indicazione assidua di trascendenza”.  “Gesù stesso – scrive sempre Cortesi – è stato un gran maestro di ironia. È nato, lui Figlio di Dio, in una stalla, ha abitato mangiatoie e croci, ha capovolto ogni aspettativa di false realtà, ha celebrato trionfi a dorso d’asino (toh, chi si rivede!), è morto come un delinquente, ha reso inutile la più tranquilla delle guardie: quella che si fa ad un cadavere”.

Prima di chiudere, mi si permetta di dare un’idea di alcuni di questi frammenti. (Ricordo che è una traduzione dall’orobico antico).

DUE SAPOROSI “FRAMMENTI”

Sul dono della parola. Noi asini del solito parliamo mica. Berliamo adoma. E fuorisopra si dice che i nostri versi i riva gna in cielo. Poveri diavoli a noi! Ma i uomini che posono parlare quan che i vuole e dire la sua  chiaro e tondo a tuti perché cianno la libertà, tante volte, ma proprio tante, fanno mocio. Al massimo, se iè done o anche leviti (che a tuti due ci faresti far sito gna ca coparli) ci danno dentro a brobotare come una pignata di fagioli. Ma ve lo dico io che sono un’asina: a tontognare si conclude un fico seco. L’è tutto fiato che va a piche e tossica il sangue. Secondo io, mè decidersi a tagliarla fuori di borbotare come i mosconi. O far sito o baiàr chiato. Se de no, è meglio noi asini.

Di certi documenti del magistero. Somiglia l’Ababcùc (quello dei tempi del Daniele ndela fossa dei leoni) che sarà tolto su per i capelli da una parte e sarà lasciato giù da quel altra col suo bravo pignatino de la minestra bel e cota (buona, niente da dire) che però resterà adomà di mangiarla. Manca apena che ti dicano:’Am papa buona’ e dopo han fatto tutto. Sarà, ma a me piacerebbe di più i maestri come quel greco che dopo cian dato giù il tòssico, ma che prima ai suoi scolari ci farà venir fuori i lavori dal di dentro suo di loro, come fa la comare co le done che comprano un s-cetino. L’è così bello! Certo che i maestri così iè rari come le mosche bianche.

Questo, tra tante altre cose, è finito sul tavolo di Fidel Castro offertogli nientemeno che dal Papa!