Chiesa, società, liberi pensatori. La parte di Cesare e la parte di Dio

I CAVALLI DI BATTAGLIA DEI LIBERI PENSATORI

Per Scalfari nello slogan di Cavour “Libera Chiesa in un libero Stato” c’è “il significato del pensiero moderno che divide la politica dalla religione“. Ma già quel “divide” la dice lunga sulle idee del nostro maestro della laicità. Per via di quel “divide” per lui la Chiesa ha pieno diritto di occuparsi delle cose spirituali, ma senza impicciarsi d’altro, se no, continuerebbe a tenere in piedi in una forma e in una misura diversa il potere temporale.

Ma i laici alla Scalfari hanno un altro cavallo di battaglia ancora più pertinente in questa loro esigenza di divisione dei poteri tra Stato e Chiesa ed è nientemeno che la frase dello stesso Signore Gesù: “Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio“. Anche Gesù è d’accordo con Scalfari!… A Cesare va attribuito tutto ciò che riguarda lo Stato, le leggi, la politica, l’economia, la vita di società… A Dio, la liturgia, i canti, le preghiere, le benedizioni, i pellegrinaggi, le prediche edificanti e roba del genere, e poi le chiese e le loro adiacenze (a condizione però che si paghino le tasse), il suono delle campane (purché non disturbi troppo). Per una sana precisione servirebbe un protocollo d’intesa in cui, a scanso di equivoci, si dividono fifty fifty le competenze dei due  rivali.

MA HANNO CAPITO BENE?

Ma anche qui, come già per il “libera Chiesa in libero Stato”, c’è da domandarsi se i liberi pensatori hanno capito bene. Andiamo a vedere il testo del Vangelo.

Mandarono da Gesù alcuni farisei ed erodiani per coglierlo in fallo. E quelli gli dissero: ‘Maestro, sappiamo che sei veritiero e non ti curi di nessuno; infatti non guardi in faccia agli uomini, ma secondo verità insegni la via di Dio. È lecito o no dare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare o no?’.  Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse: ‘Perché mi tentate? Portatemi un denaro perché io lo veda’. Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: ‘Di chi è questa immagine e l’iscrizione?’. Gli risposero: ‘Di Cesare’. Gesù disse loro: ‘Rendete a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio’. (Mc 12,13-17)

Lasciamo pure perdere il particolare non indifferente dell’ipocrisia di chi va da Gesù a chiedere se è lecito o no pagare le tasse all’imperatore. Anche oggi però questo particolare atteggiamento guasta già in partenza l’intenzione di chi pone il problema dei rapporti tra lo Stato e la Religione.

È TUTTO QUESTIONE DI MARCHIO

A parte ciò, dal racconto si vede subito che per Gesù la questione dell’immagine è risolutiva. Chi riesce a far mettere la propria immagine sul conio della moneta vuol dire che ha un potere decisivo sullo Stato e quindi, spinte o sponte, si è tenuti a riconoscerlo e a tirarne le conseguenze, prima fra tutte il pagamento delle tasse. Se sulla moneta c’è l’immagine dell’imperatore, il tributo gli va pagato. Provare a fare il contrario! A Cesare dunque tutto quello che reca l’immagine del suo potere.

La parte riguardante Dio segue la stessa logica: a Dio tutto ciò che reca la sua immagine. E allora ascoltiamo Metastasio: “Dovunque il guardo giro,/immenso Dio, ti vedo:/nell’opre tue t’ammiro,/ti riconosco in me“. Non c’è quindi realtà che non debba essere “data”, riferita a Dio. Cesare stesso non può non essere riferito a Dio. “Non c’è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio. Quindi chi si oppone all’autorità, si oppone all’ordine stabilito da Dio” (Rm 13, 1). (NB: ciò non significa che Obama abbia ricevuto il suo potere da Dio, ma Dio ha disposto che l’umanità, per stare insieme e progredire, abbia chi svolga il servizio dell’autorità). La Bibbia insiste molto sul dovere “religioso” dell’obbedienza all’autorità statale. S.Pietro arriva a raccomandare obbedienza alle autorità “non solo a quelle buone e miti, ma anche a quelle difficili» (1Pt 2,17s).

Ma nello stesso tempo colpisce la severità con cui la Parola di Dio avverte i Cesari di sempre sulla rigorosità del giudizio a cui saranno sottoposti e del conto che dovranno rendere al Giudice divino.

CESARE NON È IL DIRIMPETTAIO DI DIO

Cesare, nella Bibbia, non è il concorrente di Dio alla pari nella detenzione del potere sul mondo; ma è anche lui solo “un ministro del suo regno” (importante e imprescindibile!), che però dovrà rendere conto. Dice la Sapienza: “Porgete l’orecchio, voi che dominate le moltitudini… La vostra sovranità proviene dal Signore; il quale esaminerà le vostre opere e scruterà i vostri propositi; poiché, pur essendo ministri del suo regno, non avete governato rettamente…”.

I profeti nell’Antico Testamento, il Papa e i Vescovi nel Nuovo, son posti dal Signore “sopra i popoli e sopra i regni per sradicare e demolire, per distruggere e abbattere, per edificare e piantare” (Ger 1,10). Essi non devono prendere il posto dei capi di Stato, e nemmeno pilotarli come robots, ma in nome di Dio devono richiamarli alle loro responsabilità, senza temere accuse di invasione di campo, pronti anche a pagare di persona se il Cesare di turno non gradisce l’intervento profetico.

Siccome le cose per Cesare non sono facili (la politica per definizione è l’arte del possibile), i profeti d’Israele e della Chiesa pregano e fan pregare per lui, perché l’unico Signore della storia dia loro il suo Spirito, ma non possono tacere per paura di fargli dispiacere e recargli disturbo.