Ius soli: con la riforma della cittadinanza 800 mila nuovi italiani

«Pur escludendo nell’immediato una buona fetta (20%) dei nati in Italia, la riforma sulla cittadinanza rappresenta una svolta importante nella normativa che la regola. Attualmente il sistema italiano è uno dei più restrittivi in Europa, riconoscendo la cittadinanza ai discendenti di emigrati italiani oltreoceano ed escludendo i giovani che vivono nel nostro paese nati da genitori stranieri. Segno di un cambiamento epocale del nostro paese, passato in poco più di 30 anni da terra di “emigrazione” a paese di “immigrazione”», precisa Chiara Tronchin, ricercatrice della Fondazione Leone Moressa, Istituto di studi e ricerche nato nel 2002 da un’iniziativa dell’Associazione Artigiani e Piccole Imprese di Mestre CGIA, che traccia le novità salienti del testo della riforma approvato alla Camera e attualmente in discussione al Senato. Ricordiamo che finora in Italia non è prevista l’applicazione dello “ius soli”, cioè l’acquisizione della cittadinanza al momento della nascita da parte di un figlio nato da genitori stranieri.

I figli di immigrati nati in Italia dal 1998 ad oggi (minorenni) i cui genitori risiedono in Italia da almeno 5 anni, che sono circa 600 mila, con l’introduzione dello “ius soli temperato”, potrebbero acquisire la cittadinanza italiana. Dottoressa Tronchin, secondo le stime della Fondazione Moressa, la riforma attualmente in discussione in Parlamento quanti nuovi italiani immediati potrebbe portare?
«Secondo le nostre stime saranno quasi 800 mila i potenziali beneficiari della riforma della cittadinanza, che introduce lo ius soli temperato (per 600 mila beneficiari) e lo ius culturae (178 mila)».

Se i nati stranieri in Italia negli ultimi anni si sono attestati tra i 70 e gli 80 mila, si  può prevedere il numero di beneficiari dello “ius soli temperato” dei prossimi anni?
«Mantenendo la stima dei nati da genitori residenti da oltre cinque anni (65%), è possibile calcolare una quota di 45-50 mila potenziali nuovi italiani ogni anno per ius soli».

Desidera spiegare ai nostri lettori a cosa si riferisce con le formule “ius soli temperato” e “ius culturae”?
«Attualmente la normativa italiana sulla cittadinanza è fortemente indirizzata verso i discendenti di cittadini italiani (ius sanguinis). Ad esempio, sono considerati cittadini italiani i figli di emigrati italiani che risiedono in Brasile e che non hanno mai messo piede in Italia. La riforma attualmente in discussione introdurrebbe per la prima volta lo ius soli, ovvero la cittadinanza italiana a chi nasce nel nostro paese anche se da genitori stranieri. La riforma non prevede uno ius soli puro, ma vincolato alla residenza dei genitori da almeno cinque anni anni in Italia. Inoltre viene introdotto anche lo ius culturae, ovvero la cittadinanza ai figli di immigrati che, seppur nati all’estero, abbiano completato un ciclo di studi in Italia».

I dati Istat dicono che al 1^ gennaio 2015, i minori stranieri in Italia sono circa un milione, cioè un quinto della popolazione immigrata complessiva, la cui maggioranza è nata qui e frequenta le scuole del nostro Paese. La riforma della cittadinanza promette di rivoluzionare le loro vite?
«La riforma avrà sicuramente un forte impatto sulla popolazione italiana, riconoscendo la cittadinanza a quasi l’80% dei minori stranieri residenti. Da anni i movimenti giovanili di seconda generazione chiedono alle istituzioni italiane il riconoscimento della cittadinanza per i figli di immigrati, riconoscendo l’identità oltre che i diritti e doveri dei nuovi cittadini».

Per quale motivo i nuovi paletti che nella riforma limitano uno “ius soli” puro, terranno fuori dalla porta oltre 200mila bambini stranieri che vivono stabilmente nel nostro Paese?
«Come detto, la riforma non prevede uno ius soli puro, ma vincolato alla residenza dei genitori da almeno cinque anni in Italia. Questo in effetti limita fortemente il rischio di attrarre nuovi immigrati spinti dal desiderio di trasmettere la cittadinanza ai figli».