Milite ignoto quindicidiciotto: Mario Perrotta racconta la Grande Guerra al Teatro Sociale

«Sono ignoto perfino a me stesso, figurati al mondo! Ma io il mondo lo aspetto qui sopra, in trincea – tutto lo aspetto – che il mondo tutto è coinvolto. E questa è l’unica cosa che ricordo: che sono in guerra, una guerra enorme, mondiale addirittura, e io – io che non so più chi sono, da dove vengo e chi mi ha messo al mondo; io sconosciuto anche alla sola madre che mi resta, la Madre Patria – io, per essa, la patria, giurai di morirmene, proprio come le altre 90.000 tonnellate di muscoli e ossa morte prima di me». Si apre con un ricordo della Grande Guerra firmato da Mario Perrotta la nuova stagione di Altri Percorsi 2015-2016.  Appuntamento al Teatro Sociale in Città Alta venerdì 23 ottobre alle 21. La riflessione parte da «Avanti Sempre» di Nicola Maranesi e da «La Grande Guerra, i diari raccontano» un progetto a cura di Pier Vittorio Buffa e Nicola Maranesi per Gruppo editoriale L’Espresso e Archivio Diaristico Nazionale (produzione Archivio Diaristico Nazionale, Permàr, DueL e La Piccionaia). Perrotta cattura il momento in cui forse per la prima volta l’Italia si sente davvero unita, in guerra, mentre i dialetti lottano ancora per incontrarsi in una sola lingua che possa salvare i soldati dall’incomprensione. Mario Perrotta con il milite ignoto mette in scena, come sottolinea il direttore artistico del Donizetti Maria Grazia Panigada «la solitudine e l’anonimato di un tempo ferito e doloroso». Ci porta nella durezza inumana della trincea, nel pieno dell’orrore della guerra.

«È nelle trincee di sangue e fango che gli italiani si sono conosciuti e ritrovati vicini per la prima volta – racconta Perrotta -: veneti e sardi, piemontesi e siciliani, pugliesi e lombardi accomunati dalla paura e dallo spaesamento per quell’evento più grande di loro. Spaesamento acuito dalla babele di dialetti che risuonavano in quelle trincee. Per questo ho immaginato tutti i dialetti italiani uniti e mescolati in una lingua d’invenzione, una lingua che si facesse carne viva. Ho provato a cucire insieme nella stessa frase quanti più dialetti potevo, cercando le parole che consentissero passaggi morbidi o fratture violente. Ne è venuta fuori una lingua nuova che ha regalato allo spettacolo un suono sconosciuto ma poggiato sulle viscere profonde del nostro paese. Ho scelto questo titolo, Milite Ignoto, perché la prima guerra mondiale fu l’ultimo evento bellico dove il milite ebbe ancora un qualche valore anche nel suo agire solitario, mentre da quel conflitto in poi – anzi, già negli ultimi sviluppi dello stesso – il milite divenne, appunto, ignoto. E per ignoto ho voluto intendere “dimenticato”: dimenticato in quanto essere umano che ha, appunto, un nome e un cognome. E una faccia, e una voce. Nella prima guerra mondiale, gradatamente, anche il nemico diventa ignoto, perché non ci sono più campi di battaglia per i “corpo a corpo”, dove guardare negli occhi chi sta per colpirti a morte, ma ci sono trincee dalle quali partono proiettili e bombe anonime, senza un volto da maledire prima dell’ultimo respiro. E nuvole di gas che coprono ettari di terreno e radono al suolo interi battaglioni senza un lamento. E aerei che scaricano tonnellate di esplosivo dal cielo e navi che sparano cannonate a centinaia di metri di distanza. Uno sparare nel mucchio insomma, un conflitto spersonalizzato in cui gli esseri umani coinvolti sono semplici ingranaggi della macchina della storia, del meccanismo che li ingoia e li trasforma in cose. E proprio per questo – come sempre accade nel mio lavoro – sono andato controcorrente e ho rivolto la mia attenzione verso le piccole storie, verso gli sguardi e le parole di singoli uomini che hanno vissuto e descritto quegli eventi dal loro particolarissimo punto d’osservazione, perché questo è il compito del teatro, o almeno del mio teatro: esaltare le piccole storie per gettare altra luce sulla grande storia».

Nella stagione di Altri Percorsi quest’anno si trovano sette titoli che sono altrettanti «pezzi unici», tessere di un mosaico breve che regala sguardi inaspettati sul teatro contemporaneo. Ci sono attori e autori giovani come Marta Cuscunà o grandi protagonisti come Maria Paiato e Arianna Scommegna. Torna il Teatro del Carretto di Lucca in omaggio a Benvenuto Cuminetti. Poi, nel programma, una piccola, preziosa «personale», con tre titoli di César Brie.
L’intenzione di fondo, che si legge bene nel programma, è di dare vita a una stagione di ricerca, un’esperienza speciale in cui ognuno può sentirsi chiamato a riflettere su di sé attraverso il teatro: «Il teatro – afferma il direttore artistico Maria Grazia Panigada – è emozione, l’atto teatrale diviene icona di corpi e voci che rimandano ad altro, ad un mondo interiore che anche nelle mille repliche o ripetizioni non è mai uguale a se stesso perché ogni volta incontro unico ed irripetibile: di attori, di pubblico… Lo stupore del teatro sta nell’incontro diretto, immediato, che non si può rimandare, ma che sempre rievoca un altrove, assenza e presenza al tempo stesso».

Prossimo appuntamento della Stagione di Altri Percorsi con un debutto nazionale: Due donne che ballano di Joseph Maria Benet i Jornet con la regia di Veronica Cruciani (produzione Centro d’Arte Contemporanea Teatro Carcano, 24 e 25 novembre 2015): per la prima volta insieme due grandi attrici quali Maria Paiato ed Arianna Scommegna, pluripremiate protagoniste del teatro italiano, impegnate nella messa in scena di un intenso testo di quello che è considerato uno dei massimo autori del teatro spagnolo contemporaneo e padre del teatro catalano, in cui si affronta l’incontro-scontro fra due donne, due generazioni, due storie, due diversità che si toccano e si intrecciano inesorabilmente.