Due milioni e mezzo di Neet, giovani senza progetti. Invisibili come fantasmi

«L’Italia non è un paese per giovani, basti pensare che per dieci anni i giovani sono stati completamente dimenticati dalle politiche pubbliche, ma siamo ancora in tempo per cambiare strada. Non bastano le risorse europee di “Garanzia Giovani”, solo poche centinaia di migliaia di giovani sono raggiunti da questo programma, ne rimangono fuori milioni. Tra dieci anni in Italia andrà in pensione un milione di persone l’anno, quindi se i giovani non saranno entrati nel mercato del lavoro, il sistema socio assistenziale italiano imploderà. È ora che gli adulti lo capiscano e facciano spazio ai giovani, perché è utile a tutti». Stefano Piziali è il coordinatore insieme con Alessandro Volpi della ricerca «GHOST. Indagine sui giovani che non studiano, non lavorano o non si formano: esperienze e politiche», prima indagine nazionale targata WeWorld in collaborazione con la Coop. “La Grande Casa”- CNCA e la Rivista “Animazione Sociale” e con il Patrocinio dell’ANCI, sul fenomeno dei Neet “Not (engaged) in Education, Employment or Training”. I Neet sono i giovani tra 15/29 anni che non studiano più, non lavorano ancora e non seguono corsi professionali», spiega Piziali, responsabile dei progetti italiani di We World Onlus.

Dottor Piziali, nel nostro Paese quanti sono i ragazzi che appartengono alla generazione Neet e come impiegano il loro tempo?
«Sono il 26% dei 15/29enni, cioè due milioni e mezzo di giovani che hanno una mentalità non progettuale e non attiva, con la tendenza ad aspettare soluzioni e possibilità provenienti dall’esterno. “Le mie esperienze scolastiche e l’approccio al mondo del lavoro mi hanno portato a sviluppare sempre maggiore ansia e insicurezza. Il malessere diventato ormai fisico nell’affrontare una nuova sfida è tale da bloccarmi in una condizione di stallo; per migliorare la situazione forse dovrei fare delle esperienze di gratificazione che compensino quelle negative già ampiamente provate”, ha confidato un ragazzo di 23 anni, disoccupato, durante il sondaggio condotto in collaborazione con CNCA per conoscere il punto di vista dei giovani intorno al fenomeno Neet. Le interviste in profondità hanno coinvolto 100 giovani (l’87% di nazionalità italiana) di 11 regioni, tra le quali la Lombardia, con una prevalenza di giovani del Nord Italia e con un equilibrio quasi perfetto tra maschi e femmine. Pensando a quello che ha detto il ragazzo disoccupato nel sondaggio, è facile intuire che la maggior parte dei Neet impieghino il loro tempo inviando curriculum vitae senza sperare troppo in una risposta positiva o andando a fare colloqui di lavoro infruttuosi. È logico che tutto questa genera nei Neet forte confusione e totale senso di smarrimento».

L’indagine conferma che in Italia continua ad aumentare la quota di giovani fuori dal processo formativo e produttivo del Paese. Qual è invece la situazione nel resto dell’Europa?
«Nel resto d’Europa la situazione è migliore mentre in Italia oltre un quarto dei giovani è fuori dai percorsi di lavoro, d’istruzione e di formazione. La media europea non supera il 15%, in Germania è dell’8%, in Francia il 13%, in Gran Bretagna il 14%. Solo in Grecia la situazione è peggiore che in Italia».

Quali sono le differenze in percentuale tra Nord, Centro e Sud e tra uomini e donne?
«Nord Ovest e Nord Est si attestano rispettivamente al 19,8 e al 17,8%, il Centro al 21,7%, e il Mezzogiorno al 35,4%. La Sicilia ha la situazione peggiore, oltre 39%, mentre la migliore è in Trentino alto Adige con il 13%. Lo scarto tra uomini e donne è minimo: 48% per i primi, 52% per le seconde».

La crisi economica e la dispersione scolastica hanno fatto lievitare questo fenomeno sociale negativo?
«Senza dubbio, sulla crisi economica c’è poco da dire, solo adesso si comincia a vedere una luce in fondo al tunnel con un tasso di crescita che si avvicina forse all’1%. Sulla dispersione scolastica ancora una volta l’Italia è tra i peggiori Paesi europei, con una media del 15%, ma con regioni con punte oltre il 20% (Sardegna Sicilia e Campania). Oltre un quarto dei Neet ha alle spalle un percorso scolastico accidentato. Chi ha avuto buoni insegnanti e acquisito le competenze fondamentali, ha meno probabilità di divenire un Neet. Chi ha lasciato la scuola prematuramente o non ha acquisito le competenze fondamentali per la vita sociale e lavorativa, sarà certamente un Neet. Anche se la ricerca ha evidenziato che contano molto anche le cause legate al reddito, al livello culturale familiare e alla situazione personale».

È vero che questo esercito di disillusi potrebbe far variare il Pil addirittura di 6,8 punti percentuali?
«Forse anche di più perché i 6,8 punti percentuali sarebbero guadagnati solo agendo sulla dispersione scolastica. Il dato emerge dalla precedente indagine di WeWorld chiamata “Lost. Dispersione scolastica: il costo per la collettività e il ruolo di scuole e terzo settore”. Gli effetti sulla economia, trattando seriamente l’accesso al lavoro, alla formazione e la qualità dell’istruzione, sarebbero anche maggiori».

La ricerca mette in luce un aspetto sorprendente: i Neet non interagiscono nemmeno sui social network. Come mai?
«I Neet sono ragazzi e ragazze che vivono con passività quello che li circonda. Hanno paura di rischiare, perché hanno alle spalle dei fallimenti: scolastici, personali, familiari. Non agiscono sui social network per paura di rischiare».

Le famiglie come reagiscono?
«Le famiglie, come mostra l’indagine condotta da IPSOS inclusa in GHOST, sono causa e allo stesso tempo risposta del fenomeno Neet. Famiglie poco attrezzate culturalmente e con scarse risorse socio-economiche sono fucina di Neet. In esse i giovani sono protetti, quasi ridotti però a fantasmi. Nello stesso tempo i giovani hanno grande fiducia nelle loro famiglie, sia i Neet sia i non Neet. Sembra che la dimensione pubblica sia irraggiungibili per i Neet. Questo pone un grande problema sociale: i Neet sono di fatto giovani che si stanno impoverendo e con loro si impoverisce tutta la società. Non possiamo lasciare solo sulle loro spalle e su quelle delle famiglie il peso del riscatto. Serve un’importante azione politica e sociale. Questo è il messaggio lanciato da GHOST, il rapporto voluto da WeWorld».

Come si può evitare che questa generazione stanca prima del tempo, senza progetti concreti si rassegni nel suo eterno presente? È possibile creare ponti tra scuola, formazione e mondo del lavoro?
«Certo in GHOST abbiamo raccolto diverse esperienze di lavoro con i Neet. Si tratta di ricreare contesti capacitanti e concreti in cui i giovani possano essere agganciati per avviarsi a percorsi di ritrovamento della fiducia in se stessi. I giovani hanno delle qualità, a volte vanno solo stimolati, altre volte accompagnati, altre volte ancora formati. Alcuni sanno già come essere protagonisti e non si sentono addosso l’etichetta Neet. C’è da fare per tutti, questo dice GHOST: per le scuole innanzitutto, combattendo seriamente la dispersione, per la formazione professionale (che deve diventare vero settore d’investimento), per gli Enti locali che dovrebbero ricevere le risorse per progetti sul tema, di lungo periodo, da implementare con il terzo settore».