Le parrocchie e la cultura Cenerentola: «La gente è bombardata di proposte, e noi cosa facciamo?»

Il Convegno di Pastorale della Cultura di sabato 24 ottobre ha lasciato grandi spunti di riflessione non solo agli operatori culturali della diocesi ma anche e soprattutto a tutte quelle comunità cristiane che ogni anno si impegnano nel costante e faticoso lavoro di discernimento del nostro tempo proprio attraverso la cultura. Ne parliamo con don Massimo Maffioletti (parroco di Longuelo) che, proprio nella mattinata di sabato, ha evidenziato il ruolo fondamentale delle comunità in un percorso culturale della diocesi e come le stesse comunità debbano essere supportate nel loro lavoro durante l’anno.

Come si deve porre una comunità cristiana nel vasto panorama di eventi culturali che la città offre?
«Innanzitutto condivido l’idea uscita sabato che la cultura non è solo l’acquisizione di saperi e conoscenze, ma è soprattutto l’arte di sapere il senso della vita. Diventa, quindi, difficile emarginare qualcosa dal macro-tema della cultura. Il cristianesimo stesso, inteso più come umanesimo che non una religione, è una questione culturale. Lo è sempre stato. Da subito, dalle origini, perché è una questione di incarnazione e di confronto con il mondo e la storia. Bisogna però aggiungere altri passaggi che sabato forse sono usciti solo lateralmente. Da parroco di città comincerei nel dire questo: l’offerta culturale a Bergamo è vastissima; i soggetti culturali sono tantissimi. Cosa significa questo per una parrocchia come la nostra? Significa che le persone si sentono libere di abbeverarsi alla fontana che ritengono più affine ai loro gusti. C’è però un’ambiguità in questo: il fatto di avere un’offerta così ampia rischia di trasformare la cultura in una sorta di grande supermercato dove è facile perdersi. Non sempre il molto (o il moltissimo) aiuta ad andare in profondità».

In tutto questo una comunità cosa è chiamata a fare per essere partecipe di un percorso culturale?
«Ho il sospetto che le parrocchie – pur promuovendo a volte iniziative culturali – non facciano un granché di carattere culturale proprio perché, come dicevo sabato, ponendo ai relatori la domanda, la cultura nelle comunità parrocchiali è una sorta di Cenerentola. In ultima analisi cosa una comunità cristiana privilegia nella sua azione pastorale? La catechesi, i sacramenti, la liturgia, la Bibbia. E su questo siamo tutti ovviamente d’accordo. Ma se per cultura intendiamo la capacità che una comunità cristiana ha di offrire criteri di giudizio per discernere la realtà alla luce del Vangelo, allora io dico che in città c’è ancora troppo poco lavoro da parte delle parrocchie. A fronte di un overbooking di proposta culturale, noi registriamo la fatica, per non dire povertà, nell’individuare il compito culturale vero che una comunità cristiana dovrebbe assumere. E cos’è che dovrebbe fare? Mettere a disposizione alcuni strumenti per un discernimento dell’attuale stagione culturale, ripensando il rapporto dei cristiani con il mondo che vivono e per il quale, come compagni di viaggio, sentono passione e compassione. Si tratta di discernere i “segni dei tempi”, come invitata a fare il Concilio Vaticano II (accogliendo le parole del Maestro): questo per me è il compito culturale dei cristiani. Faccio un esempio concreto: è inutile continuare a riempirci la bocca di temi come l’immigrazione se non ci attrezziamo di conoscenze adeguate per affrontarli. In comunità, proviamo (non è detto che ci riusciamo, non ho questa pretesa) a fare cultura quando affrontiamo seriamente il problema, offrendo validi strumenti per ragionare su questi temi con la mia parrocchia».

Come fa una comunità cristiana ad affrontare questo difficile lavoro? Quali sono gli strumenti che può offrire?
«Abbiamo diverse opportunità che ogni comunità può individuare. Il primo luogo del discernimento culturale è precisamente la predicazione domenicale dentro la centralità dell’eucaristia, una predicazione ordinaria ed extra-ordinaria all’altezza delle domande dell’uomo di oggi e del vangelo stesso (i tempi forti dell’avvento e della quaresima). L’altro luogo è la formazione della coscienza attraverso l’affondo spirituale e culturale della catechesi, sia per i ragazzi sia per gli adulti: bisogna tornare alle fonti alle quali da sempre i cristiani s’abbeverano, cioè ripartire sempre dall’ascolto della Parola. Il discernimento comunitario lo puoi compiere solo tornando alle grandi parole e categorie bibliche. Ed è proprio questo che il consiglio pastorale cerca di svolgere, a nome di tutti. Io credo che una funzione centrale la rivesta anche il giornale di una comunità: quando noi, redazione di Longuelo Comunità (giornale parrocchiale), prendiamo posizione su alcuni temi cruciali siamo consapevoli di dover fornire strumenti di riflessione e giudizio. Poi nulla vieta a una comunità di predisporre eventi di carattere culturale: con la redazione di Longuelo Comunità, per esempio, quest’anno abbiamo offerto serate di riflessione aperte a tutti sull’enciclica del Papa e sull’immigrazione. Così come l’andare a vedere la mostra di Malevic alla GAMeC. È uno stile che di certo è vissuto in tante delle nostre comunità. Ma perché una comunità si sente chiamata a organizzare queste iniziative? Non certo perché si sente una sorta di tour operator o promotrice di eventi. Immaginiamo, però, che i cristiani siano dei curiosi osservatori di tutto ciò che in questo mondo accade e che li vede chiamati in causa. Il Vaticano II parafrasava Terenzio quando scriveva che ai cristiani nulla è estraneo di quello che è umano».

Come vedi il futuro delle parrocchie in relazione al cammino culturale della diocesi di Bergamo?
«Il discernimento – culturale, e dunque insieme etico, perfino spirituale – è un lavoro umile e paziente e così anche quello di una comunità deve esserlo. Le comunità cristiane non devono credere di avere la verità in tasca, il cammino alla scoperta della verità deve essere fatto insieme, con tutti gli uomini di buona volontà. L’obiettivo è la maturazione di una “coscienza credente” che, in nome del Vangelo, osserva il mondo non con giudizio ma con cordialità e misericordia. Auspico che l’incontro di sabato non sia un evento isolato ma un serio percorso nel quale tutti gli operatori culturali della diocesi s’interfaccino e diano sostegno alle singole comunità per portare avanti questo lavoro culturale che come tale è compito stesso evangelico».