Attesa, tra scontentezza e speranza

Immagine: Cristo giudice, Firenze, battistero

In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli:
«In quei giorni, dopo quella tribolazione,
il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
le stelle cadranno dal cielo
e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte.
Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria (Vedi il Vangelo di Marco 13, 24-32. Per leggere i testi liturgici di domenica 15 novembre, XXX del Tempo Ordinario, clicca qui)

Sono alcune delle immagini che dominano la Parola di Dio di questa domenica: immagini suggestive ma rischiose. Rischiose perché o si pensa che dicono troppo (ci fanno la cronaca di quello che capiterà allora) o si pensa che ci dicono troppo poco (sono degli ingenui modi di dire che non contengono nulla di vero).

IL VANGELO E LA DISPERAZIONE DEGLI SCONTENTI

Dobbiamo anzitutto collocare il testo. È la parte culminante di un discorso che, nel vangelo di Marco, precede di poco il racconto della Passione. Nella prima parte Gesù annuncia l’ormai vicina distruzione del tempio di Gerusalemme, poi descrive l’inizio di una “grande tribolazione” e infine parla della venuta del Figlio dell’uomo: quest’ultima parte è il vangelo di oggi.

Il mondo culturale da cui nasce questo discorso è la cosiddetta “apocalittica”. Questa visione del mondo e della storia umana parte da una convinzione semplice e diffusa: Il mondo presente va male, corre verso la rovina. Ma se il mondo oggi va male, domani un altro mondo, molto migliore di questo, sorgerà al suo posto. Anche Gesù assume, in parte, questo modo di vedere e, prima della passione, svela l’avvenire: grandi catastrofi, guerre, carestie, persecuzioni contro i cristiani si abbatteranno sul mondo. Queste catastrofi inizieranno con la morte di Gesù stesso, proseguiranno poi con la caduta di Gerusalemme e la distruzione del tempio da parte dei Romani nell’anno 70, quarant’anni dopo la morte di Gesù; continueranno per tutta la storia della Chiesa con le persecuzioni di cui la Chiesa sarà oggetto. Poi, un giorno, che però nessuno conosce, il Figlio dell’uomo tornerà con “grande potenza e gloria”. Gesù, infatti, è il senso ultimo della storia: tutto il capitolo 13 è orientato all’apparizione gloriosa del Figlio dell’uomo così come è descritta nel vangelo di oggi.

Le immagini catastrofiche – terremoti, il sole che si oscura, le stelle che cadono dal cielo… – servono dunque per “dire” la fine di questo mondo e l’inizio del nuovo mondo totalmente diverso dal presente. Le immagini, dunque, non sono da prendersi alla lettera: vogliono soltanto dire l’intensità dell’attesa di quello che deve avvenire.

SI ASPETTA. MA NON SI CONOSCONO DATE

Si aspetta, dunque. Ma chi o che cosa si aspetta? Gesù lo dice chiaro: è il “Figlio dell’uomo”. Gesù usa spesso questa espressione per designare se stesso. La figura del Figlio dell’uomo si trova nel libro del profeta Daniele e si riferisce a un misterioso personaggio che fa da legame tra la terra e il cielo e che rende possibile che Dio e la storia umana entrino in contatto. Dunque, in un futuro incerto, che nessuno conosce, Gesù tornerà glorioso.

Ma quando avveranno “queste cose”? Nei circoli dei primi cristiani molti si aspettavano un ritorno immediato del Signore. Il quando, dice invece Gesù,  neppure il Figlio dell’uomo lo conosce ed è ciò che conta di meno. Gesù si affida totalmente al Padre. Anche in questo egli è figlio, completamente ed esclusivamente figlio.

Le ultime affermazioni vogliono dunque mettere in rilievo la  venuta del Figlio dell’uomo e far passare in primo piano le esortazioni all’attesa più che fissare date e fatti certi che diano ragione ai fanatici che esistevano all’interno delle prime comunità cristiane.

SIAMO (QUASI) TUTTI APOCALITTICI

Siamo diventati tutti, in questi ultimi anni, degli apocalittici. Noi cristiani soprattutto. Il mondo va male, il mondo andrà ancora peggio nei prossimi anni. Con la grossa differenza, rispetto agli apocalittici contemporanei di Gesù, di non avere più la speranza di un “altro” mondo rispetto a questo, perché non abbiamo più la fede forte in un Dio che sia il garante di questo futuro diverso. Siamo, dunque, degli apocalittici “disperati” e il futuro ci fa soltanto paura.

Il credente, invece, anche quando aspetta il ritorno del Signore, proprio perché aspetta quel giorno si impegna oggi, dove il Signore lo ha posto a vivere e a lavorare. L’attesa del futuro non estrania dall’impegno nel presente. Proprio per questo diventa importante e prezioso il particolare che non si conosce quando quegli eventi arriveranno. L’unico vero atteggiamento allora è non di indagare ciò che non si potrà mai sapere, ma di avere fiducia in colui che è l’unico che sa. A noi resta di vegliare, operosamente, di fare bene, mentre si aspetta. Anzi: si deve fare bene proprio perché si aspetta. Come una coppia che aspetta un bambino. Mai così presi dalle cose da fare proprio perché qualcuno deve arrivare.

NON FINIREMO NELLA NOTTE

Per questo è particolarmente pertinente l’immagine di oggi, del Signore che è alle porte. Noi siamo “dentro” la storia, viviamo la nostra vita, ma egli ci aspetta. Anche quando dovremo uscire lui ci accompagna… Non saremo nella notte perché non saremo soli. L’annuncio della giornata odierna è dunque un annuncio gioioso, non pauroso. La storia umana, visitata da Dio, non può finire nella notte. Quando tutti si spaventeranno, i cristiani avranno motivi per avere fiducia. La fine della loro vita e la fine di tutto è come oltrepassare una soglia. Ed è per questo che oggi, già oggi, ci si impegna a ben operare. Il Signore ci aspetta: alla fine della nostra vita, e alla fine di tutto.