Bergamo è vicina a Parigi: in piazza ognuno diventa segno di speranza e fuoco di pace

Quando viene negata una libertà – qualunque essa sia – la reazione è pressoché uguale in tutto il mondo (o quanto meno nei Paesi democratici): la gente scende in piazza, urla la sua disapprovazione, manifesta, si indigna, si ribella. Quando però viene minata la libertà più grande che abbiamo, la libertà di vivere, vivere sotto il segno della Pace e della fratellanza, la reazione è spesso opposta: ci si barrica in casa, si chiude la porta di casa propria al prossimo; la paura ci assale e ci spinge a reagire di pancia con lo stesso odio viscerale e la stessa intolleranza di cui siamo stati vittime.
E tuttavia c’è chi di fronte alla paura reagisce attivamente, sfida il terrore e scende in piazza. Non si tratta di temerari eroi che sfidano la violenza e le barbarie a cuor leggero e neanche di sprovveduti buonisti legati a utopistiche e incondizionate idee di Pace & Amore. Sono piuttosto persone comuni che, in silenzio ma a testa alta, si fanno segno di speranza, si fanno fuoco di Pace.
Sono davanti a Palazzo Frizzoni fra le tantissime persone (sette-ottocento) che già dalle 17.30 si sono mestamente riunite davanti al Comune, luogo simbolo della democrazia a Bergamo. In un silenzio tanto freddo quanto assordante, scaldato qua e là da qualche tremolante fiammella di candela. Qualcuno regala un lumino al bambino che ha accanto, qualcuno alza gli occhi al cielo e sussurra una preghiera, qualcun altro alza sommessamente un cartello che semplicemente recita: “Disarmiamo il mondo”. Anche Bergamo è vicina a Parigi e al dolore di un intero popolo che lo scorso venerdì 13 novembre è stato colpito nel modo più vile e disumano possibile.
«La tragedia che colpisce la Francia colpisce in realtà tutti noi – interviene il Sindaco, Giorgio Gori -. Non c’è alcuna possibile giustificazione per una simile manifestazione di malvagità. La nostra mente si interroga su cosa accadrà ora, su quale possa o debba essere la nostra risposta. Lo scopo delle bombe e dei proiettili è quello di farci sentire in pericolo, di spaventarci. Ecco perché credo che la prima risposta debba essere questa: continuare a vivere come prima. Non ci facciamo intimorire. Non consentiamo a nessuno di segregare la nostra libertà». Sempre Gori prosegue: «Dobbiamo avere la capacità di distinguere tra chi è pericoloso e chi è in pericolo, e dobbiamo avere la forza di includere e di dialogare. L’Europa è chiamata ad una prova durissima, bisogna saperlo. Ma è per questo che dobbiamo ricordarci chi siamo, tenere a mente che siamo stati capaci di sconfiggere il nazismo e qui in Italia anche il terrorismo, e che senza piegarci siamo tornati a vivere. Della notte tragica di Parigi ci resteranno impressi i volti sgomenti, le immagini di sangue, il rumore delle esplosioni. Ma non solo: di quella notte vorrei ricordassimo anche le porte aperte per chi cercava riparo, e i tassametri staccati – spontaneo gesto di soccorso e di servizio civile».
L’intenso minuto di silenzio si conclude con l’esecuzione della Marsigliese. Qualcuno si commuove; la ragazza francese vicino a me piange e con un filo di voce si mette a cantare l’inno della sua Nazione. La musica riscalda il cuore di tutti e pian piano il piazzale davanti a Palazzo Frizzoni è un coro unanime sulle note della Marsigliese. Le candele e i lumini vengono posati a terra tutt’intorno al Comune a contrastare la tenue nebbia che nel frattempo è scesa su Bergamo. In modo spontaneo mi viene in mente una citazione che ho sentito qualche giorno fa tratta dal libro “La Strada” di Corman McCarthy. In uno scenario apocalittico un figlio chiede al padre:
«Ce la caveremo, vero papà?». Quello gli risponde: «Sì. Ce la caveremo perché noi portiamo il fuoco». Un fuoco di speranza che ci spinge ad andare avanti nonostante tutto. Nonostante la paura.

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