Attentato in Tunisia, un’altra città in stato di emergenza. La minaccia del terrorismo globale

Un altro attentato ha colpito ieri il cuore di Tunisi, anche se sui media mainstream se n’é parlato poco o niente. Un pullman della guardia presidenziale tunisina è esploso, provocando 12 morti e 20 feriti, tra cui due gravi, tutti giovani ufficiali e agenti della guardia presidenziale di meno di 30 anni. Erano le 17.30 quando ieri sera hanno cominciato a circolare le prime notizie sui media locali e sui social network, mi trovavo in ufficio come tutti i giorni, quando la mia collega riceve una telefonata dai genitori. Appena finisce di parlare con loro, la sua espressione é sconvolta: «C’é stato un attentato qui vicino. Un bus della guardia presidenziale, i miei sono passati di lì poco prima che esplodesse». L’attentato ha avuto luogo nella centrale Avenue Mohamed 5, la stessa via in cui lavoro, anche se dalla parte opposta, proprio vicino all’Avenue Bourguiba: qualche minuto dopo abbiamo sentito un via vai di ambulanze, forze dell’ordine che a sirene spiegate accorrevano sul posto. Dopo questa notizia, impossibile rimettersi al lavoro concentrandosi: ci siamo messe a cercare sulla rete quante più notizie possibili, nonostante non fosse ancora chiaro quello che era successo. Pare che un uomo con una cintura esplosiva volesse introdursi sul pullman (e avrebbe fatto sicuramente più vittime) , ma sia stato fermato prima ancora che potesse salire perché volto nuovo, e quindi si sia fatto esplodere sulla porta del bus, ma la notizia è ancora da verificare.
È il terzo attentato in pochi mesi che colpisce la Tunisia: dopo il Bardo a marzo (21 vittime) e Sousse a giugno (28 vittime), ieri è stata presa di mira la guardia presidenziale. Non è la prima volta che le forze di sicurezza perdono la vita per mano dei terroristi : ad esempio nel luglio 2014 14 soldati furono uccisi sul Monte Chaambi, zona ai confini con l’Algeria, base e rifugio di formazioni terroriste. E lo stesso giorno dell’attacco di Parigi, giusto qualche ora prima, Mabrouk Soltani, un giovane pastore 16enne di Jelba, nel governatorato di Sidi Bousiz, la stessa Sidi Bouzid che è stata osannata perché da lì è partita la scintilla della cosiddetta «primavera araba» ed ora dimenticata dal governo, questo giovane è stato decapitato dai terroristi in quanto ritenuto una spia. Un gesto terribile che ha molto scosso l’opinione pubblica tunisina, grazie anche all’intervento del cugino del giovane, Nessim Soltani, che dagli studi dell’emittente televisiva Nessma ha denunciato l’assenza del governo in quelle zone dimenticate, dove per poter procurarsi l’acqua potabile bisogna salire sulla montagna, proprio lì dove si nascondono i terroristi. E dove la povertà potrebbe spingere i giovani tra le loro mani, per necessità, perché se il governo non interverrà alla base del problema, è facile per questi giovani poter farsi circuire da queste persone che promettono loro tanti soldi. «I terroristi se vogliono possono comprarci, e hanno i soldi per farlo», ha sottolineato Nessim, dicendo come ad ogni modo loro cercheranno con tutte le forze di opporsi a ciò e invitando il governo ad aiutarli a sconfiggerli, dichiarandosi anche pronto a imbracciare le armi per difendere il suo Paese. Tornando all’attentato di ieri, oltre allo sgomento sui social network hanno cominciato a circolare le solite polemiche: «Ed ora dove è la bandiera della Tunisia sui vostri profili ?» «Ma perché i media ne parlano poco?» «Ah sì loro sono musulmani allora non meritano un minuto di silenzio!».
Personalmente credo che di polemiche ce ne siano già abbastanza, e che non sia il caso di continuarle e alimentarle, poiché non portano da nessuna parte. Se si vuole stare vicino ai tunisini, che lo si cerchi di fare in altro modo. Non è certo una bandiera su facebook che risolverà il problema del terrorismo; il terrorismo è un problema globale e serve unità nell’affrontarlo. Ieri il presidente tunisino Essebsi ha annunciato il coprifuoco dalle 21 alle 5 del mattino, fino a nuovo ordine, e il ripristino dello stato di emergenza. Intanto questa mattina in Parlamento si è riunita la cellula dell’unità di crisi e c’é stato un consiglio speciale per capire il da farsi. È stato limitato l’accesso all’aeroporto ai soli viaggiatori; il ministero dei trasporti ha comunicato l’introduzione di nuove misure di sicurezza e la zona turistica di Hammamet è stata chiusa. Misure che limiteranno la libertà dei cittadini in nome della sicurezza, ma che non basteranno da sole a risolvere il problema del terrorismo: è ora che il governo se ne renda conto e agisca alla base: una recente ricerca effettuata dal Ftdes, il Forum tunisino per i diritti economici e sociali, dimostra che siano più le motivazioni economiche che ideologiche a spingere i giovani tunisini tra le braccia dei terroristi. Finché non si risolverà la questione economica e sociale, finché le regioni da cui proveniva Mabrouk continueranno ad essere dimenticate, il problema persisterà. A Tunisi, dove da domenica hanno avuto inizio le Giornate cinematografiche di Cartagine, gli organizzatori del festival hanno comunicato che continueranno nonostante tutto, e in diverse sale ieri alla notizia dell’attentato, prima della proiezione è stato cantato l’inno tunisino. Una frase ieri è circolata su Facebook: «Siamo a un punto cruciale della nostra lotta contro le forze del male e un vero patriota dovrebbe: 1. Non condividere nessuna foto del luogo del dramma; 2. Far sì che le forze dell’ordine facciano il loro lavoro; 3. Evitare ogni commento allarmista; 4. La bandiera tunisina è rossa e bianca, non nera; 5. Continuare a vivere, poiché è la migliore forma di resistenza». «Taya Tounes», «Forza Tunisia», non sarà questo ennesimo attentato a metterti in ginocchio.