Un Natale truccato? Il business delle armi e i pianti per Parigi

Foto: L’Occidente, compresa l’Italia, fornisce bombe ai paesi in guerra del Medio Oriente

Papa Francesco è stato diretto: “La guerra – ha detto nell’omelia del mattino a Santa Marta qualche giorno fa – è proprio la scelta per le ricchezze: ‘Facciamo armi, così l’economia si bilancia un po’, e andiamo avanti con il nostro interesse’. C’è  una parola brutta del Signore: ‘Maledetti!’. Perché Lui ha detto: ‘Benedetti gli operatori di pace!’. Questi che operano la guerra, che fanno le guerre, sono maledetti, sono delinquenti. Una guerra si può giustificare, fra virgolette, con tante, tante ragioni. Ma quando tutto il mondo, come è oggi, è in guerra, tutto il mondo!: è una guerra mondiale – a pezzi: qui, là, là, dappertutto – non c’è giustificazione.” Poi un finale amarissimo: “Siamo vicini al Natale: ci saranno luci, feste, alberi luminosi, presepi… Tutto truccato: il mondo continua a fare la guerra, a fare le guerre. Non ha compreso la strada della pace”

BUSINESS IS BUSINESS

Un appello forte e preciso nei riguardi di un mercato – quello del commercio delle armi – nel quale noi italiani siamo tra i protagonisti assoluti. In particolare nelle regioni arabe, nelle terre dove è nato e prospera quel terrorismo che vogliamo estirpare. Proprio lì,  noi italiani, insieme alla Francia, siamo tra i maggiori esportatori di armi da guerra, nonostante ci sia una legge del 1990 (la 185) che vieterebbe espressamente la vendita di armi a Paesi in guerra. Forse è il caso di sapere che negli ultimi anni, molti Stati mediorientali hanno aumentato in maniera significativa le proprie spese militari. Nello specifico, del 68% tra il 2004 e il 2014. In particolare, l’Arabia Saudita ha aumentato la propria spesa militare del 156%, gli Emirati Arabi Uniti del 114%, l’Iraq del 344%, il Qatar del 64%. In Siria tra il 2004 e il 2011 essa era aumentata del 7%.

DALLA SARDEGNA ALL’ARABIA SAUDITA

Secondo la Rete Italiana per il Disarmo, nei giorni scorsi è stata portata a termine una nuova spedizione da Cagliari di componenti di bombe prodotte negli stabilimenti RWM Italia di Domusnovas (in Sardegna) con destinazione Arabia Saudita. È la terza consegna di ordigni militari del 2015, la seconda per via aerea che fa chiaramente intendere l’urgenza di approvvigionamento di materiale bellico da parte delle forze armate saudite. Secondo Giorgio Beretta, dell’Osservatorio OPAL di Brescia, si tratta di un carico di tonnellate di componenti di bombe italiane che è atterrato nella base militare della Royal Saudi Armed Forces di Taif. Da tempo tra il mondo sunnita dell’Arabia Saudita e una frangia sciita yemenita è in atto uno scontro durissimo che ha già causato quasi 6000 morti, tra questi molte donne e bambini, ventimila feriti, un milione di sfollati e ventun milioni di persone che necessitano di urgenti aiuti. Una vera e propria “catastrofe umanitaria” alimentata anche dalle armi vendute dall’Italia. Proprio nelle scorse settimane il Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki Moon ha condannato i bombardamenti e gli attacchi indiscriminati contro le infrastrutture civili da parte della coalizione saudita che hanno colpito, tra gli altri, un ospedale di Medici Senza Frontiere. Oltre ai bombardamenti mai autorizzati dalle Nazioni Unite, la monarchia saudita è responsabile di gravi e reiterate violazioni dei diritti umani: un’altra condizione che – secondo la legge richiamata prima – dovrebbe impedire le esportazioni di materiali militari e di armi alle forze armate saudite.

NUTRIAMO IL MALE CHE VOGLIAMO COMBATTERE 

Ha ben scritto Luigino Bruni su Avvenire: “I politici che in questi giorni piangono, magari sinceramente, e dichiarano lotta senza quartiere al terrorismo, sono gli stessi che non fanno nulla per ridurre l’export di armi, e che difendono queste industrie nazionali che muovono grosse quote di Pil e centinaia di migliaia di posti di lavoro. Una moratoria internazionale seria che imponesse un divieto assoluto di vendita di armi ai Paesi in guerra, non segnerebbe certo la fine del califfato, Isis e terrorismo, ma sarebbe una mossa decisiva nella direzione giusta. Non si può nutrire il male che si vorrebbe combattere. Noi lo stiamo facendo, e da molti anni. Non ce ne accorgiamo finché qualche scheggia di quelle guerre non arriva dentro le nostre case e uccide i nostri figli. In realtà sappiamo che finché l’economia e il profitto saranno le parole ultime delle scelte politiche, poteri così forti che nessuna politica riesce a frenare, continueremo a piangere per lutti che contribuiamo a provocare.”