Tunisia, la preghiera è più forte degli attentati: «Il perdono è un segno di eroismo»

Una messa per ricordare le vittime degli ultimi attentati che hanno sconvolto il mondo, dal Libano alla Francia, dal Mali alla Tunisia, all’Egitto e in tutti i Paesi in cui guerre e terrorismo continuano a uccidere: si è svolta ieri sera nella Cattedrale di San Vincenzo de’ Paoli in Avenue Bourguiba a Tunisi. Una messa programmata prima dell’ultimo attentato in Tunisia, avvenuto martedì sera, in cui hanno perso la vita 12 guardie presidenziali e ne sono rimaste ferite 20, di cui due gravi. La Chiesa si è popolata poco a poco, circa una settantina i fedeli della comunità cristiana presenti.
«Siamo riuniti questa sera – ha riferito il vescovo Ilario Antoniazzi – per un’occasione che non lascia spazio a parole. Parlare in questo momento non è facile: il nostro unico rifugio è nel Signore, che incontriamo nella preghiera e in questa messa, ufficiata per il riposo delle anime dei morti, per i feriti, per i familiari delle famiglie tunisine e degli altri Paesi che sono in lutto. Pensavamo che la Tunisia sarebbe entrata in un periodo di pace e serenità, invece il terrorismo ha cancellato tutto questo, ma il cuore dei credenti deve essere grande come il mondo e abbracciare tutte le vittime degli attentati. Una preghiera per la Francia, il Libano, il Mali, l’Iraq, la Libia, il Camerun, la Nigeria e tanti altri ancora». Il vescovo ha sottolineato poi come i terroristi sfigurino il nome e il volto di Dio: «Questi attentati ci mostrano fino a che punto può arrivare la crudeltà umana quando è piena d’odio, quando è lontana da Dio, anche se i terroristi pretendono di agire nel suo nome, i loro gesti sono contro di lui. Oltre a provocare morte sfigurano il vero volto di Dio, che è amore, misericordia, perdono. Come diceva Papa Giovanni, non si può fare del Dio della vita un Dio di morte». L’invito ai fedeli è di non farsi coinvolgere dalla spirale di violenza: «I credenti non possono vivere in un ghetto, ma devono essere aperti alla tolleranza e agli altri. Non dobbiamo cadere anche noi nella violenza, la nostra fede ci aiuta. Abbiamo bisogno della grazia di Dio per non perdere fiducia nell`uomo, nella società e nelle istituzioni. Dobbiamo avere forza e coraggio di perdonare come Cristo. Vendicarsi è un segno di debolezza, perdonare è un segno di eroismo. Bisogna vincere la morte con la vita». Il vescovo ha concluso l’omelia leggendo la lettera di Antoine Leiris la cui moglie è stata uccisa negli ultimi attentati di Parigi, lasciandolo solo con il figlio di diciassette mesi. Una lettera indirizzata ai terroristi in cui l’uomo afferma che non avranno né il suo odio né quello di suo figlio, presentandola come «esempio di fede cristiana che ognuno di noi è chiamato a vivere», una fede «nobile, la fede di Cristo». Monsignore ha recitato il padre nostro anche in lingua araba. «Quando ci sono stati gli attentati in Francia, a Parigi, gli amici tunisini ci hanno chiamato per porgerci le condoglianze – dice suor Cecilia, presente a Tunisi da fine gennaio -: anche noi porgiamo loro le condoglianze per quello che è successo. La nostra amicizia resta la stessa e credo che questo sia più forte di tutta la violenza. Bisogna continuare quello che stiamo vivendo, lo stare insieme giorno dopo giorno». «Dal mio punto di vista, questo attentato non è stato una sorpresa – riferisce Giovanni Tibaldeschi, residente a Tunisi da diversi anni -: il conferimento del premio Nobel rischia di portare ad atti disperati, ma il Paese ha reagito molto bene in questi due giorni. Questa messa é stata molto bella, un momento di comunione particolare. Se abbiamo paura? C’é stata paura dopo il Bardo e Sousse, questo ultimo attentato era inaspettato, anche se come le ho detto con il premio Nobel il rischio di attirare gesti simili c’é. Ma restiamo». «Oramai non si è sicuri da nessuna parte», aggiunge la moglie Grazia.