Io sto con la sposa: da Milano a Stoccolma per parlare dei profughi

Il film-documentario «Io sto con la sposa» sarà proiettato al Nuovo San Filippo Neri di Nembro giovedì 3 dicembre per tenere viva l’attenzione sul tema delle migrazioni e dei diritti. Proiezioni ore 15.30 e 21.00. Ingresso per tutti a 3 euro.

C’è la sposa, bellissima nel suo abito di tulle bianco, affiancata dallo sposo, elegante nel suo completo nero. E poi ci sono gli invitati, una decina tra italiani e siriani, che hanno seguito il corteo nuziale da Milano a Stoccolma, in un viaggio di oltre 3 mila chilometri in soli quattro giorni.
Ma non si tratta di un corteo nuziale qualunque: stiamo parlando del progetto “Io sto con la sposa”, un film – documentario attraverso il quale si è permesso a cinque ragazzi, siriani e palestinesi, di sfidare le leggi sulla mobilità della “Fortezza Europa” per poter avere un futuro migliore. Dietro il progetto Gabriele Del Grande, scrittore e giornalista, autore del blog “Fortess Europe” dove da anni denuncia le morti che avvengono nel Mare Nostrum, Khaled Soliman Al Nassiry, poeta e direttore di una casa editrice araba e Antonio Augugliano, regista e editor per la tv e per la scena del cinema indipendente milanese. “L’elemento che ci ha messo insieme è stata l’amicizia, niente più – spiega al Santalessandro Gabriele Del Grande -. Questo infatti è un progetto spontaneo: non ci abbiamo messo mesi a pensarlo, ma è nato dall’urgenza di aiutare cinque amici palestinesi e siriani a continuare il viaggio. Li avevamo conosciuti io e Khaled alla stazione e una sera con Antonio ci è venuta l’idea della sposa. A quel punto non potevamo non farne un film”. Chi fermerebbe infatti un festoso corteo nuziale per chiedere se i documenti siano in regola? Così ecco i protagonisti, quattro palestinesi siriani e una siriana, tutti e cinque fuggiti dalla guerra in Siria e tutti arrivati in Italia via mare, in Sicilia e a Lampedusa, prepararsi a questo strano viaggio, di certo meno pericoloso di quello che hanno dovuto affrontare via mare per raggiungere le coste italiche. “Abdallah, lo sposo, è uno studente universitario – spiega Del Grande, facendo un piccolo ritratto dei protagonisti del viaggio -, Tasneem, la sposa, un’amica attivista palestinese siriana del campo di Yarmouk a Damasco, Mona e Ahmed una coppia sposata da 28 anni con un passato da militanti nella sinistra siriana e poi c’è Alaa che di mestiere faceva il barbiere e che il viaggio l’ha fatto con uno dei tre figli, Manar, un dodicenne con la passione del rap”. Nessun casting: “In realtà sono stati loro a trovare noi, nel senso che un giorno abbiamo incontrato Abdallah alla stazione, per caso, ci siamo messi a parlare e poi siamo rimasti in contatto. Col tempo siamo diventati amici, l’abbiamo ospitato a casa nostra e poi una volta conosciuti gli altri quattro abbiamo deciso di partire insieme. Per tutti loro la reazione all’idea della mascherata è stata entusiasta. Abdallah, che poi ha fatto lo sposo del corteo, ci diceva che era felice perché non gli sarebbe più capitata un’occasione del genere nella vita. E poi ci tenevano anche a partecipare al film, perché sentivano la responsabilità di raccontare quello che avevano visto”. La Svezia è stata scelta come meta finale per diversi motivi: “Era la meta dei cinque palestinesi e siriani che abbiamo portato con noi – continua Del Grande -. Ripeto, è un documentario, non una fiction: il film ha seguito la realtà. E la realtà era la storia, folle ma reale, di un gruppo di amici italiani, palestinesi e siriani che si travestono per raggiungere il nord Europa. Perché la Svezia? Perché in questo momento è uno dei paesi che in Europa sta accogliendo più dignitosamente i profughi siriani. Inoltre è un paese dove ancora l’economia tira e dove non è così difficile trovare un lavoro e rimettersi in moto dopo aver perso tutto nella guerra, a differenza dell’Italia e dei paesi del sud Europa che sono ancora immersi nella crisi economica”. La notte prima della partenza le sensazioni sono un mix di gioia e paura: “Eravamo felici perché il gruppo aveva una bellissima energia e sentivamo che stavamo facendo la cosa giusta. Questa per noi era una certezza. Allo stesso tempo avevamo paura che ci arrestassero lungo la strada, perché avevamo in macchina cinque persone senza passaporto. Per noi nessun essere umano è illegale, ma non per le leggi europee e quindi temevamo che potessimo passare dei guai in frontiera”. Gli autori hanno infatti corso un grande rischio e al momento dell’uscita del film potranno essere condannati fino a 15 anni di carcere per favoreggiamento all’immigrazione clandestina. Ma l’emozione del viaggio, la consapevolezza di essere nel giusto, hanno preso il sopravvento sulla paura: “Sicuramente uno dei momenti più belli è stato il concerto di Manar a Marsiglia. Vedere la gioia negli occhi di un bambino di dodici anni che fino a due mesi prima era in mezzo alla guerra, al sangue e alla morte, è qualcosa di impagabile. Per lui il rap è la grande passione di una vita, il grande sogno. Gli abbiamo voluto regalare una serata di leggerezza, organizzandogli con degli amici musicisti marsigliesi il suo primo concerto dal vivo in vita sua. È stato molto, molto emozionante, per tutti noi”. Per coprire le spese di produzione e permettere la distribuzione del film durante l’estate è stata realizzata un’azione di crowdfunding che ha avuto successo, mostrando l’interesse che la gente ha per questi temi. Un film che si propone di sensibilizzare l’opinione pubblica, in una sorta di prosieguo del lavoro che Del Grande fa con il suo blog Fortress Europe: “Quando ho iniziato il lavoro del blog era il 2006. Da allora è cambiato tutto e non è cambiato niente – conclude Del Grande -. L’Europa si è allargata ad est, da ormai sette anni ha esteso la libera circolazione a tutti i cittadini di paesi come Romania, Bulgaria, Polonia, Paesi dai quali proviene la maggior parte della popolazione di lavoratori immigrati. Eppure quell’Unione europea che tanto coraggio ha investito in questa operazione di liberalizzazione dei visti e della mobilità a est, è la stessa che continua a mandare le navi da guerra nel Mediterraneo. E questo è quello che non è cambiato: in mare si continua a morire. Ogni giorno. Ed è come se fosse normale agli occhi della pubblica opinione. Questo film vuole andare a lavorare proprio sull’opinione pubblica, non tanto facendo della sensibilizzazione, dato che di quella se ne è fatta anche troppa, ma tentando di produrre un prodotto che sia pop, che raggiunga cioè una larga fetta di popolazione, e che la tocchi non con la vertenza o la denuncia, ma con la bellezza della storia che racconta. È essenziale: fino a quando le nostre vittime non diventeranno i nostri eroi, in pochi saranno disposti a credere che davvero siano maturi i tempi di un cambiamento, ossia di una liberalizzazione dei visti con i paesi del Mediterraneo”.

 

Sotto il trailer