La storia si ripete? Profughi di ieri e di oggi

Foto:  L’86% dei rifugiati è accolto da Paesi del Terzo Mondo.

Entreranno tutti?”. Titolava cosi l’editoriale del quotidiano inglese “Daily Express” sugli ebrei in fuga dalla Germania nazista e dall’Austria appena occupata dal Terzo Reich nel marzo del 1938. “Sarebbe imprudente addossarsi un fardello cosi eccessivo”, aggiungeva il giornale inglese.

“NON POSSIAMO”

La domanda l’Europa e il mondo intero, nel 1938, se l’erano posta anche ad Evian, una bella cittadina sulla sponda francese del lago di Ginevra. Dal 6 al 15 luglio di quell’anno si riunirono, convocati dal presidente degli Stati Uniti Roosvelt, rappresentanti di trentadue Stati per discutere e trovare una soluzione sul problema dell’aumento del numero di rifugiati ebrei provenienti dalla Germania. I delegati espressero apertamente simpatia per i rifugiati ma di fatto non venne presa nessuna decisione che li aiutasse concretamente. Nessuno decise di aumentare la propria quota di ingressi. Tutti quanti alzarono le mani dicendo: “Non possiamo”. E il Governo inglese aggiunse: “Non possiamo e non vogliamo. Perché annunciando una politica di ripartizione per quote oggi, questo funzionerebbe domani da incentivo non soltanto per gli ebrei in fuga dall’Austria e dalla Germania, ma anche per quelli dell’Ungheria, della Romania e della Polonia, che si sentono in pericolo, e avremmo un’ondata migratoria incontrollabile.”

Cosi che per gli ebrei in fuga valeva quanto diceva Chaim Weismann: “il mondo sembra essere diviso in due parti: quei posti dove gli ebrei non possono vivere e quelli dove non possono entrare”.  Come andò a finire settantacinque anni fa la storia ce lo ha insegnato.

INQUIETANTI ANALOGIE

Che relazione tra le vicende di ieri e quelle di oggi? Se lo è chiesto un giornalista di razza, Gad Lerner, che su La Effe (www.laeffe.it) , da un paio di settimane, sta presentando il suo nuovo lavoro televisivo:  “Fischia il vento”. Un viaggio in Europa e ai suoi confini per raccontare quali sono le variabili, i protagonisti, le contraddizioni di questo grande fenomeno in corso. Puntate da vedere e da far vedere – a casa, in classe, nelle parrocchie – che raccontano storie e drammi che ci sfiorano e ci provocano. Anche nell’ignoranza. Quanti di noi sanno che l’86% dei rifugiati è accolto da Paesi del Terzo Mondo? Un’informazione – questa – che certo non passa sui media che parlano, invece, dell’invasione dei profughi in Europa. Gad mostra che i nuovi profughi non sono poi così diversi dai profughi del passato.  La storia si ripete e tra il 1938 e il 2015, tra la fuga degli ebrei dal nazismo e l’esodo dal Nord Africa e dal Medio Oriente in fiamme ci sono inquietanti analogie.

Ripercorre il cammino disperato di molti di loro. Che inizia tra gli accampamenti provvisori dove i rifugiati si contano a milioni in Turchia, Giordania, Kurdistan iracheno. Poi la sfida con la morte,  su imbarcazioni di fortuna pagate a caro prezzo per attraversare le poche miglia che separano la costa turca dalle isole greche o il pericolosissimo canale di Sicilia dove i morti si contano già a migliaia: uomini, donne, vecchi e bambini. Ciascuno con un nome, un volto, una storia. La telecamera si spinge fino alla Stazione ferroviaria di Monaco di Baviera, la città dove 95 anni fa fu fondato il Partito Nazista, e dove, nelle scorse settimane, migliaia di tedeschi hanno accolto i siriani con calorose manifestazioni di benvenuto. Un felice capovolgimento della storia.

L’INDIFFERENZA È SEMPRE IN AGGUATO

Nella prima puntata ho rivisto Liliana Segre, deportata ad Auschwitz a tredici anni. Con la sua voce inconfondibile, Liliana, che spesso ha portato la sua testimonianza agli studenti bergamaschi, racconta: “Sembra di rivivere lo stesso dramma del secolo scorso.  A volte quando sento e leggo qualche vicenda di come vengono trattate e classificate  persone che arrivano cercando un mondo  migliore,  mi ritrovo con occhi di ragazzina a guardare il mondo che, mentre io fuggo, mi chiude la porta in faccia. Mi torna alla mente il cancello chiuso e terribile della Svizzera. Rivedo i contrabbandieri che trovo molto simili agli scafisti. Lo stesso disprezzo per le persone che, per cifre enormi, facevano passare dall’altra parte. Gli scafisti di oggi non si preoccupano se la barca affonda; allora i passeurs non si preoccupavano minimamente di quale sarebbe stata la fine di noi clandestini che come animali cercavamo di passare dal buco della rete.” Liliana termina il suo racconto dicendo: “Mai ci saremmo aspettati di essere respinti. Respinti con argomentazioni che sento ancora oggi: ‘La barca è piena.. la Svizzera è piccola… non vi possiamo accogliere tutti…’. Stiamo attenti, molto attenti. È vero: oggi, più di ieri, ci sono molti atti di solidarietà ma anche la tentazione di girare la testa dall’altra parte. L’indifferenza è sempre in agguato”.