Tra un mese è Natale. Calendario alla mano, il conteggio dei giorni scandisce l’avvicinarsi dell’Avvento, l’Immacolata, la Vigilia, il Natale. Solo che è impossibile non notare che il Natale ogni anno arriva prima e non perché qualcuno lo sposti dal 25 Dicembre, ma perché i primi addobbi scintillanti e le prime vetrine a tema cominciano a vedersi già dalla fine di ottobre. Due mesi prima. Un acconto forzato di festa per spingere agli acquisti, dove più che la magia della Nascita si punta alla fiera del consumo. E’ ormai divenuto frequente per piccoli e grandi marchi di moda, cosmetici, accessori, elettronica, anticipare il Natale promuovendo massicce campagne di marketing (esiste la “linea Prericorrenza”) sia con una pressante comunicazione sia con la distribuzione di prodotti a soggetto dedicato. Persino le compagnie telefoniche si adeguano e lanciano tariffe promozionali natalizie quando nemmeno è passata Ognissanti. Se poi si guarda al commercio online il fenomeno è anche più marcato, con slogan che invitano a precorrere gli acquisti per risparmiare, programmando a tavolino i doni per ciascuno “anticipa le tue necessità natalizie… così eviterai lo stress” per evitare di “farsi cogliere impreparati dalla festa!”.
Ora, qualcuno dice che con la crisi che si respira è un bene anticipare tutto, perché forse un po’ d’atmosfera fa bene al cuore e all’umore, ma leggere sul sito promozionale di una grande città che “il Natale si preannuncia ricco di eventi per l’edizione 2015” francamente è sconfortante: non pensavamo che la Natività fosse assimilabile al Festival di Sanremo… Chi è in collegamento in diretta dalla grotta di Betlemme?
Più si anticipa qualcosa e più si rovina il tempo dell’attesa. Il periodo sospeso aspettando che una cosa molto desiderata arrivi. Quell’intervallo magico e bellissimo in cui giorno per giorno si costruiscono le tappe di avvicinamento, in una prospettiva che è speranza. Si dissipa un tempo prezioso, dando per scontato che prima e più a lungo si propone un prodotto e meglio lo si vende. E allora ecco le luci natalizie appese a Novembre e le vetrine con la neve e le stelle e i lustrini anche se fuori ci sono ancora 18 gradi. Sta diventando un lungo Natale sintetico, in cui si spalma temporalmente la ritualità. Trasformandolo in presenza prolungata, percepito come qualcosa di ordinario e non di eccezionale, di raccolto, di definito in un’unità di tempo e di spazio, lo si priva di importanza. Non è più speciale e circoscritto ciò che imperversa per mesi, salvo poi essere considerato “bruciato” il giorno dopo. Una vertigine vorticosa al cui termine, arrivati finalmente al 24 dicembre, si fosse persa l’energia, la motivazione. Quante volte si sentono frasi come “non ho proprio lo spirito natalizio”, oppure “fosse per me il Natale lo abolirei”, o ancora “l’avvicinarsi delle feste mi dà tanta malinconia, tanta tristezza. Mi sento solo, più solo che in tutto il resto dell’anno”. Un misto tra la nausea da indigestione e il “Christmas blues”, una forma di depressione ben conosciuta da psicologi e medici di famiglia. Essere immersi in un’atmosfera forzatamente festosa non è detto che trasmetta felicità per osmosi. Se così è, alla fine l’albero lo si fa perché si deve o per reale emozione, affetto, sentimento?
Allora, contro il logorio della vita natalizia moderna, avrebbe chiosato Ernesto Calindri, forse è il caso di fermarsi un attimo e rimettere in fila le cose che contano davvero, riassaporando la lentezza e la giusta ciclicità di uno dei momenti più belli e più sentiti da grandi e bambini. Anche ripensando a cosa vuol dire Natale, perché non si può non notare come nella profusione di vetrine e luminarie vi siano sempre meno riferimenti al Natale cristiano, al Presepe, sostituiti da panciuti Babbi, buffi pupazzi, alberi addobbati, decorazioni assortite e fiocchi di neve a spiovere. La perdita di significato, nel nome del politicamente corretto, passa anche da lì.