Le polemiche attorno al presepio e la paura della propria identità

Non so che cosa di un presepe infastidisca un mussulmano, ma so che cosa di un presepe spaventi un occidentale, e non sono, in fondo, né la religione che c’è in quella capanna né le possibili ritorsioni degli estremisti. La cosa di cui abbiamo una paura ormai ossessiva, patologica, immedicabile si può riassumere in una sola parola: identità. Qui casca l’asino (e il bue). Il presepe fa paura a qualche preside e a molti insegnanti perché contraddice il dogma di questi tempi: non la laicità (doverosa), ma l’assenza programmata e severamente imposta di qualsiasi atteggiamento, tradizione, segno che rimandi a un’identità personale o collettiva.

RELIGIONE MA NON SOLO

La religione è solo una delle vittime. L’identità spaventa a qualunque livello, da quello politico – chi si richiama più a una storia politica o a una tradizione ideologico-culturale? – a quello religioso, passando per l’identità di genere: ci siamo persino convinti che non esistono padri e madri, ma solo genitori 1 e genitori 2, e che in fondo non esistono nemmeno distinzioni di natura (anche giuridicamente si può cambiare sesso). Non parliamo poi dell’identità nazionale, concetto che le ultime riforme hanno bandito persino dalla scuola, che pure avrebbe il compito di insegnarla e valorizzarla. L’unica identità che ci resta è quella anagrafica, rigorosamente relegata sulla carta.

Il fastidio per l’identità è un portato della nostra storia: è giusto che tra le sempre più numerose forme di libertà ci sia anche la libertà dalle classificazioni e dalle etichette, dalle definizioni e dagli incasellamenti. Il Novecento ha usato l’identità in modo aggressivo e coercitivo, ed era quindi inevitabile una reazione di segno opposto. Come spesso succede, però, si passa da un estremo all’altro: vogliamo a tutti i costi impedire a qualcuno di pensare e di esprimersi contro la sua volontà e finiamo per impedirgli anche di pensare ciò che pensa e di essere ciò che è, a meno che non si uniformi al pensiero unico dominante.

IL PRESIDE CHE DEVE EDUCARE NON EDUCA

Si finisce così nel paradosso: davvero il preside di una scuola laica che faticosamente, ogni giorno, cerca di insegnare ai ragazzi la libertà di esprimersi e il rispetto dell’altro, l’uguaglianza dei diritti e il senso della giustizia, non si accorge di come quei valori abbiano avuto origine da una povera culla, a prescindere dal senso religioso che le si voglia attribuire? La scuola si occupa di educazione, non di fede: ma il trionfo della mitezza e dell’umanità non è forse un modello educativo da contrapporre alla violenza e alla brutalità che minacciano continuamente il nostro mondo?

I CRISTIANI HANNO PAURA

Se alcuni laici rimuovono la propria storia senza nemmeno il coraggio delle proprie posizioni – la scusa del “non offendere” è scontata e risibile –, non meno pavidi sono i Cristiani, che lasciano a qualche politico spregiudicato il posto nel presepe per le sue battaglie e, in molti casi, assistono impassibili a quello che ormai è diventato uno stanco rito natalizio. Non c’è niente di peggio che vergognarsi di se stessi. Gesù esortava a difendersi dai lupi, noi abbiamo paura delle pecorelle (di cartapesta).