Marco Baliani e Sivia Contin: il teatro, la ricerca e la bellezza che nasce dal disincanto

Liberarsi da una sorta di incantesimo, di illusione, aprire gli occhi e scoprire nella reatà nuove forme di bellezza: potrebbe essere definito così il disincanto che si realizza con e nel teatro. Una parola, un concetto, un’esperienza di cui si è parlato in un incontro organizzato dal festival “In Necessità Virtù” con due importanti protagonisti del teatro italiano: Claudia Contin, conosciuta e amata in tutto il mondo come Arlecchino e Marco Baliani, grande esponente del teatro di narrazione. Sabato sera i due attori hanno raccontanto di fronte a numerosi presenti che si sono radunati nella sala Tremaglia del Teatro Donizetti due progetti che li ha visti ideatori e partecipi: Progetto Sciamano (Contin) e Pinocchio Nero (Baliani). “E’ interessante che per capire quanto siamo disincantati dobbiamo uscire da questo Paese – dice Baliani – Sono stato in Kenia con Amref per fare volontariato artistico. Consiglio a tutti di andare in Africa, anche agli studenti: qui, vediamo il mondo attraverso lo schermo della tv dove ai problemi dell’Africa si alterna l’ultimo profumo di una casa di moda. Andare in quei posti cambia tutto, si torna relativizzati”. Nella disperazione si trova il disincanto: “noi attori a teatro ci chiudiamo in una stanza e non sappiamo cosa c’è fuori e creiamo storie che hanno valore lì dentro e il pubblico si nutre di queste storie – continua – il teatro era un luogo sacro dove si vive fin quando durano le storie, ma ora sono entrati anche lì a sparare:il Bataclan a Parigi, il Dubrovka a Mosca: è il disincanto estremo”. Come dimostra Pinocchio nero, il disincanto ha portato anche la bellezza: “Pinocchio nero è uno spettacolo teatrale realizzato con venti ragazzi di Nairobi durante il mio periodo di volontariato artistico. L’idea era di usare il teatro per salvarli dalla vita di strada – continua – Volevo insegnare solo quello che sapevo fare e cioè raccontare storie, costruire scene. Volevo fare qualcosa di bello, non socialmente utile, qualcosa per stare in scena, perché chi avesse applaudito i ragazzi, avrebbe dovuto farlo per la loro bravura e non perché erano persone sfortunate”. Lo spettacolo è andato in tournée, passando anche per Bergamo: “Realizzare lo spettacolo è stato un percorso lungo e meraviglioso, poi ha girato in Italia e in Europa e siamo riusciti a costruire un centro di accoglienza e a comprare due ettari di terreno. Tutti i ragazzi hanno trovato una loro strada, ma purtroppo alcuni non si sono salvati dal Kenia, dalla fame, dalla disperazione: uno è tornato sulla strada, uno è morto”. Dal punto di vista teatrale è stata una grande soddisfazione: “la più grande perchè utile, perché capisci che c’è stato un cambiamento negli spettatori”. Con Claudia Contin si è parlato di disincanto attraverso il Progetto Sciamano, nato nel 1994 a Pordenone nella Scuola Sperimentale dell’Attore: “quando la nostra  compagnia – spiega l’attrice – era stata chiamata per un progetto con persone portatrici di handicap molto gravi”. “Portatore di handicap” espressione usata al tempo e che ha fatto riflettere Contin: “Mi ha interessato perché è come portatore di maschera: portare la maschera comporta delle difficoltà proprio come l’handicap. E chi deve superare gli handicap, si migliora costantemente: quindi non è solo disagio, ma anche apprendere qualcosa. Ecco che il progetto Sciamano ha considerato le persone con handicap come maestri da cui imparare e non assistiti. Siamo partiti dalle loro tecniche e poi abbiamo potuto anche insegnare loro: è stato arricchente per tutti, una scoperta continua”. Un lavoro che da una ricerca sociale-artistica è diventata scientifica e ha portato a diverse pubblicazioni. La fase finale del progetto ha visto un ragazzo, Stefano Gava in scena. Vero e proprio attore recitante a fianco di Claudia Contin in “Capitan Don Calzerotte e Arlecchin senza panza”: “Siamo due anziani attori che vivono in un teatro e Stefano non interpreta la disabilità che ha dalla nascita, ma un personaggio, Don Calzerotte, che l’ha incontrata alla fine della sua vita e insegna a me, Arlecchino – prosegue – Fuori da Pordenone, dove si sapeva di questo progetto, le persone non si erano accorte della disabilità naturale di Stefano, ma pensavano fosse opera di un lavoro di studio e ricerca interpretativa”. Lo spettacolo, che viene ancora rappresentato nei teatri, considera la disabilità una possibilità e ribalta la storia del Don Chisciotte: “nella quale mi pare di trovare il tema del disincanto e penso proprio che il personaggio di Don Chisciotte rappresenti bene l’incanto, non sa vivere senza, mentre Sancio Panza il disincanto e i due personaggi vanno d’accordo come in simbiosi”.

Nella foto di apertura Marco Baliani al lavoro per il suo Pinocchio Nero. Qui sotto uno scatto dell’incontro di sabato.

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