Il presepe e le polemiche: il Natale non è nelle statuine ma nei volti delle persone

In occasione del Natale accade quasi fatalmente che sul presepe vadano in scena teatrini meschini, con relative schermaglie politiche e culturali di parte, che rischiano di mettere in ombra il prezioso lavoro educativo che in molte scuole avviene, grazie alla preparazione e alla motivazione di insegnanti e genitori consapevoli del proprio compito educativo, in una realtà di profondi cambiamenti culturali e religiosi. Sembra che nel nostro ambiente prevalga la tendenza di alcuni che «per non offendere qualcuno, si deve limitare la libertà di tutti di vivere i propri valori in nome della laicità».
Ma quali valori? Quelli che abbiamo svenduto in nome delle libertà, del consumo e di un individualismo che si è insediato al centro del vivere confinando la fede nella dimenticanza e all’insignificanza. Ciò che stupisce e preoccupa è che questo accada più facilmente nelle scuole che hanno come mission specifica della carta costituzionale: «di educare a saper conoscere e interpretare il vissuto della società in cui si vive» con libertà, responsabilità e solidarietà. Luoghi che possono essere veri e propri laboratori di ricerca e di apertura al nuovo. Un compito magnifico, che oggi può essere svolto in condizioni più stimolanti trovandovi materia prima nei rimescolamenti in atto: la molteplicità e pluralità dei volti che affollano le strade, le piazze, i banchi delle scuole, ognuno con la sua peculiarità di cultura, tradizioni e visioni di vita. C’è una cosa che attraversa e accomuna tutti questi volti oltre le differenze ed è la componente umana, quella che nella tradizione cristiana riconosce in una culla di una casa comune un bambino di carne, con un volto e un corpo, tra le braccia di sua madre. Mi piacerebbe iniziare da qui, da questo segno di umanità di cui tutti siamo impastati, un percorso educativo che anticipa e va oltre la circostanza del Natale. Cosa ci impedisce di accompagnare i figli a riconoscere nei bambini delle capanne, così fantasiose, i volti diversi di bambini che oggi approdano sulle nostre coste o che manifestano i segni delle ferite di armi? Non vi sembra più sano mentalmente e più coerente sostituire i bambini di carta pesta con la carne viva di una umanità in cui scorre la stessa nostra vita? Il Natale è il manifestarsi di Dio nel volto umano. Volto da accogliere, da contemplare, da accarezzare. Se chi si riconosce cristiano cominciasse a liberarsi da un istinto di possesso di simboli religiosi, ormai stereotipi insignificanti, più funzionali al mercato che alla crescita umana e imparasse ad assaporare lo spessore dell’essere umano che è universale! Gesù, nei nostri presepi blasfemi non c’è e non ci sarà mai. Lo riconosciamo nei volti dei bambini frastornati dalla violenza tra le macerie delle loro case il Gesù dei presepi di oggi, se impariamo a incontrare nel volto di ogni essere umano un frammento di quella umanità che nella sua fragilità è garanzia di un futuro al plurale. Se l’occasione del Natale anziché una riaffermazione di simboli ormai vuoti, divenisse un evento in cui i diversi volti potessero svelarsi con canti, poesie, pagine di diario di vita vissuta nella gioia e nella sofferenza in una condivisione delle differenze! Se nella scuola si invitasse a conoscere e a scoprire i significati dei simboli culturali e religiosi dei compagni di banco o di classe non solo sui libri, ma partecipando fisicamente, quando pongono questi segni… feste, preghiere, ramadan, flessioni…Conosco insegnanti e scuole che da anni, proprio sulla nostra terra bergamasca, hanno sviluppato veri e propri percorsi scolastici che nel rispetto delle diverse identità culturali e religiose, sanno alimentare sorgenti di umanità che preparano il futuro nello scambio di visioni e di valori della vita nella convivenza. Mi sembra questa la sfida del momento e la promessa per l’umanità del futuro.