Oltre 200 personalità del mondo femminista, della cultura, dell’arte, del cinema, della letteratura e del sociale hanno preso posizione con un manifesto. «Noi rifiutiamo di considerare la ‘maternità surrogata’ un atto di libertà o di amore – si legge nel testo -. In Italia è vietata, ma nel mondo in cui viviamo l’altrove è qui: “committenti” italiani possono trovare in altri paesi una donna che porti un figlio per loro». Il ruolo di stimolo del quotidiano dei vescovi, «Avvenire».
Anche le femministe (o almeno una parte di esse) scendono in campo contro la «maternità surrogata». Un problema in più per i sostenitori di questa pratica. E, forse, ancor più per chi vuol lucrare su questo nuovo e redditizio “mercato” in sviluppo.
Un manifesto di protesta. Un’onda di protesta montante che si è cristallizzata pochi giorni fa nella pubblicazione (sul sito “www.cheliberta.it”) del manifesto contro la pratica dell’utero in affitto, con la firma di oltre 200 personalità del mondo femminista, della cultura, dell’arte, del cinema, della letteratura, del sociale. Alcuni tra i firmatari: Dacia Maraini, Livia Turco, Cristina Comencini, le suore orsoline di Casa Rut a Caserta, Anna Pozzi di “Slaves no more”; ma anche uomini, come Giuseppe Vacca, presidente della Fondazione Gramsci, Aurelio Mancuso, esponente di spicco dell’associazionismo gay, il giurista Carlo Cardia, l’attore Claudio Amendola.
Un sostegno del tutto “trasversale”, dunque, per un obiettivo comune. “Noi rifiutiamo di considerare la ‘maternità surrogata’ un atto di libertà o di amore – si legge nel manifesto -. In Italia è vietata, ma nel mondo in cui viviamo l’altrove è qui: ‘committenti’ italiani possono trovare in altri paesi una donna che ‘porti’ un figlio per loro.
Non possiamo accettare, solo perché la tecnica lo rende possibile, e in nome di presunti diritti individuali, che le donne tornino a essere oggetti a disposizione: non più del patriarca ma del mercato.
Vogliamo che la maternità surrogata sia messa al bando”.
I promotori della protesta. A promuovere l’iniziativa il network femminile “Se non ora quando?” (Snoq), nato in Italia nel 2011 per riequilibrare l’immagine femminile “ferita” dallo “scandalo Olgettine”. Oggi il network si schiera contro la maternità surrogata a fianco del più vasto movimento femminista internazionale.
Un impegno civile che ha radici variegate e più lontane nel tempo. Già nell’aprile 2011, ad esempio, una risoluzione del Parlamento europeo, che condannava tutte le forme di sopraffazione sulla donna, invitava gli Stati membri a “riconoscere il grave problema della maternità surrogata, che costituisce uno sfruttamento del corpo femminile e dei suoi organi riproduttivi”. Qualche anno dopo, nel luglio 2014, un gruppo di intellettuali della sinistra francese, – tra cui Jaques Delors, Lionel Jospen, la femminista Sylviane Agacinsky, José Bové, Jaques Testart e René Frydman – inviava al presidente Hollande una lettera aperta (pubblicata su Libération), a sostegno del divieto normativo per la maternità surrogata. Solo un mese dopo, in Gran Bretagna, la femminista Julie Bindel, fondatrice di “Justice for women”, intervenendo sul caso di Gammy (il bambino thailandese nato da utero in affitto e rifiutato dalla coppia committente perché Down), dichiarava: “La maternità surrogata commerciale favorisce sfruttamento, abuso e povertà. Come femminista e attivista per i diritti umani, io auspico la fine della maternità surrogata e una discussione seria e onesta sull’eticità di tutte le forme di gravidanza surrogata, specie in un mondo pieno di neonati e bambini indesiderati e trascurati”. Non sono mancate neanche in Svezia le proteste del gruppo femminista “Sveriges Kvinnolobby”, che in un proprio documento ha chiesto al governo di mettere al bando la pratica della maternità surrogata.
“Stop surrogacy now”. Nel maggio di quest’anno, infine, è stata la volta di “Stop surrogacy now”, il network nato negli Usa – cui partecipano, ad oggi, oltre 160 personalità e associazioni appartenenti a 18 Paesi -, che sta promuovendo una petizione internazionale per ottenere il divieto globale della maternità surrogata. Gli aderenti all’iniziativa si ritroveranno il 2 febbraio prossimo all’Assemblea nazionale di Parigi, per sostenere l’approvazione della petizione.
“Avere un approccio femminista alla maternità surrogata – si legge nel documento – significa rifiutare l’idea che le donne possano essere usate come contenitori e che le loro capacità riproduttive possano essere comprate”.
Ecco allora che anche figure storiche del femminismo, come Sylviane Agacinski (Francia) e Luisa Muraro (Italia) si ritrovano in campo per portare avanti con decisione quella che considerano una vera battaglia di civiltà. Insomma, il fronte “anti utero in affitto” sta progressivamente ingrossando le sue fila, anche col l’apporto convinto di “settori” sociali e culturali in parte inattesi. Un fenomeno di cui, da tempo – bisogna dargliene atto –, il quotidiano dei vescovi italiani, “Avvenire”, continua a dare puntualmente conto, all’interno della campagna informativa sulla surrogazione di maternità, già avviata nell’agosto 2013.
La “contro protesta”. Ma va anche rilevato come un’altra parte dell’universo femminista, almeno in Italia, abbia manifestato insofferenza e rivolto aspre critiche a queste iniziative, perorando la causa della maternità surrogata (per lo meno di quella “a titolo gratuito”), considerata come espressione della libertà individuale e, soprattutto, come parte del più complesso cammino di affermazione dei “diritti” per il mondo omosessuale, tra cui annoverano anche il tanto controverso “diritto al figlio”. Ne è testimonianza il “contro-appello”, pubblicato in queste ore sul blog del Corriere della Sera “27ma ora”, ad opera di un gruppo “dissidente” di personalità di spicco di Snoq, che pongono come priorità assoluta l’approvazione del ddl Cirinnà sulle unioni civili, disposte di conseguenza a soprassedere alla questione della “maternità surrogata” per non ritardare l’approvazione in Parlamento di quel disegno di legge.