A poco più di un mese dalla chiusura ai visitatori, continua ad alimentarsi l’interrogativo sul futuro dell’area in cui si è svolta, tra maggio e fine ottobre, Expo Milano 2015. Cosa ne sarà di questo luogo che ha visto passare in sei mesi oltre 20 milioni di visitatori? Una volta smontati i padiglioni dell’Esposizione universale occorre infatti evitare che il sito – dotato di ogni tipo di servizi e infrastrutture – si trasformi in una cattedrale nel deserto. Al momento tra i progetti sui quali si sta lavorando c’è quello di trasferire a Rho (il comune che ospita Expo) la nuova sede dell’Università Statale di Milano; ma in quest’area potrebbero nascere anche strutture pubbliche, centri di ricerca o stabilimenti produttivi.
Volto desolato. L’idea più realistica sembrerebbe quella di trasformare l’intero sito in un Polo tecnologico destinato proprio alla ricerca e ai servizi alle imprese. Non a caso il premier Matteo Renzi, che ha promesso di investire qui 150 milioni l’anno per i prossimi 10 anni, ha affermato che “l’area dell’Expo accoglierà un ecosistema di innovazioni, un luogo per ospitare la scintilla della ripartenza”.
Ad oggi, però, l’area più che a un ecosistema assomiglia al ritratto della desolazione. Basta una visita in loco per rendersi conto di ciò che resta del milione e mezzo di metri quadrati di terreno che hanno ospitato la manifestazione. Appena entrati nell’area – dove regna un silenzio un po’ sinistro rispetto ai fasti dei mesi scorsi – dall’ingresso principale si viene prontamente fermati da un addetto alla sorveglianza, che accompagna gentilmente il giornalista verso l’uscita, spiegando che il cantiere di smantellamento è in piena attività e che è vietato scattare foto. Sul web, in effetti, è presente il contratto stipulato dalla Regione con Expo, e vi si legge che le operazioni di smantellamento termineranno entro la fine di maggio.
Interesse pubblico. “Ma non tutto verrà smontato – spiega al Sir Fabio Pizzul, giornalista, consigliere regionale in Lombardia e profondo conoscitore della realtà meneghina – perché molte delle strutture verranno riutilizzate per altri scopi”. In effetti sono parecchie le costruzioni che potrebbero avere un nuovo utilizzo: Palazzo Italia, ad esempio, ma anche il tanto celebrato Albero della vita oppure l’Open air theater “San Carlo”. Lo stesso si dice del Padiglione Zero. Tra le ipotesi, c’è quella di adattare alcune di queste strutture per la XXI Triennale internazionale del design, che si terrà a Milano ad aprile 2016. “In generale, quest’area sarà certamente riqualificata e sono sicuro che verranno realizzati progetti di interesse pubblico”, sostiene Pizzul.
Terzo settore e Caritas. Se da un lato la partita per il futuro dell’Expo sembra essere solo all’inizio, dall’altro però c’è un pezzo dell’esposizione che, dopo la chiusura, è già tornato a vivere.
Si tratta della Cascina Triulza, il padiglione del volontariato e delle associazioni, che ha riaperto i battenti ed è operativo. Il centro dell’Expo dedicato alla società civile, in pratica, non ha mai smesso di funzionare:
in attesa degli eventi che stanno avendo luogo a dicembre, la Cascina ha ospitato a novembre sia la Borsa italiana del turismo cooperativo sia alcuni incontri col Forum del terzo settore della Lombardia. Nel frattempo un altro segno permanente di Expo c’è già e funziona a Milano, ma non a Rho-Fiera, bensì nel quartiere Greco. “Durante l’Expo abbiamo accolto a cena 90 ospiti ogni sera e continueremo a farlo per i prossimi trent’anni”: così Luciano Gualzetti, vicedirettore di Caritas ambrosiana e vice commissario del Padiglione della Santa Sede in Expo, spiega in che modo la Caritas vuole mantenere il suo impegno anche dopo l’Esposzione. “Grazie al Refettorio ambrosiano” – la mensa che sarà al centro di varie iniziative in relazione al Giubileo – “nei sei mesi scorsi abbiamo sfamato tante persone cucinando 10 tonnellate di cibo, avanzi dei padiglioni che altrimenti sarebbero finiti nel cestino”.
I fondi del governo. La partita per decidere il futuro dell’Expo è dunque ancora aperta. La Regione Lombardia con il presidente Roberto Maroni sostiene di avere le idee chiare sul futuro dell’area, ma vuole rassicurazioni sull’ingresso del Governo in Arexpo, la società proprietaria delle aree su cui si è svolta l’esposizione:
“Vorremmo realizzare a Rho un moderno campus universitario, con strutture all’avanguardia che si occupano di ricerca e innovazione”.
Un luogo dove si costruisce il futuro, insomma. E su posizioni simili si è espresso il commissario unico dell’Expo, Giuseppe Sala: “Continuo a pensare che l’idea della cittadella universitaria sia la migliore”. Tutti d’accordo, allora? L’impressione è che per sbloccare l’impasse si debba attendere l’ingresso dell’esecutivo nel capitale di Arexpo, chiarendo quali saranno i fondi messi a disposizione per questi progetti.