I casi giudiziari famosi: Stasi e Bossetti. I limiti della giustizia e i suoi ribaltoni

Foto: Alberto Stasi, condannato per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi

A GARLASCO: FRAGOROSA NOTIZIA E SILENZIOSA UMANITÀ

A Garlasco scorrono i titoli di coda di un film giallo durato otto anni e si vede la mamma di Alberto Stasi che accompagna il figlio in carcere. Cronisti a caccia di chissà quali dichiarazioni, che scampanellano al cancello dell’imputato riconosciuto colpevole. Oppure alla porta dei genitori di Chiara Poggi, la fidanzata tramutatasi in vittima. Ma a quella povera vedova, che pare affidare con amore, rispetto e dignità il condannato alle guardie, solo un’altra madre ha pensato. Proprio la madre di Chiara: “Non dobbiamo mai dimenticare che questa tragedia ha gettato nella disperazione non una ma due famiglie. Noi che abbiamo perduto la più brava delle figlie. Ma anche loro, anzi lei, rimasta sola, che Alberto non l’ha completamente perduto, ma resta il protagonista di una brutta vicenda”.
Questa è umanità. Sempre più rara. Parole di pietà. Che stridono, purtroppo, con la realtà quotidiana, accontentata con colpi di scena spesso costruiti. Logica e ragionamento sostituiti per esigenze di visibilità da conclusioni superficiali, tipo giustizia è fatta. Ma giustizia è stata davvero fatta?

I MAGISTRATI E LA “SINDROME DEL PROFESSORE”

Certamente sì, fedeli alla regola che le sentenze non si commentano, bensì s’eseguono. Non si può tuttavia non osservare nei verdetti, in generale, un’apparente isteria in crescita. La Cassazione che capovolge l’appello, che a sua volta aveva capovolto la sentenza di primo grado. Accade frequentemente. Ma fra tante verità, quale l’autentica? Nel processo a Stasi, è stato addirittura il procuratore generale a cambiar nuovamente le carte in tavola, con la richiesta a sorpresa in extremis d’accogliere i ricorsi sia della difesa che dell’accusa, proponendo un nuovo procedimento. Suggerimento respinto.

Se è dubbiosa la giustizia, figurarsi l’opinione pubblica. Sorge il sospetto che in qualche magistrato subentri una specie di “sindrome del professore”, per cui, se uno fa il controllore, che controllore è stato se non ha trovato nulla da obiettare? E allora ecco il pubblico, soprattutto televisivo, appeso a un filo.

IL PROCESSO BOSSETTI E I SUOI RISCHI

In quest’ottica, pure il dibattimento per l’uccisione di Yara – tecnico com’è – corre i suoi bravi pericoli. Indagine senza testimoni. Ardua ricostruzione, in ogni caso, delle ultime ore di Yara. E occhio agli errori di procedura, dietro l’angolo. Il rischio è di ritrovarsi – magari nel 2017 – con una sentenza (qualunque essa sarà) o ribaltata o annullata.
Con questa lente d’ingrandimento vanno considerati alcuni atteggiamenti della difesa di Massimo Bossetti, all’apparenza infantili. Tipo la richiesta d’inutilizzabilità dei dati grezzi d’estrapolazione del Dna di Ignoto 1 e l’indisponibilità a proseguire il controinterrogatorio del comandante del Ris, una volta respinta l’istanza. Gli avvocati – consapevoli che l’iter giudiziario dell’imputato non si concluderà a Bergamo ma a Roma via Brescia – stanno preparando il terreno per i successivi giudizi. Tatticismi all’ordine del giorno, dunque. E occorrerà grande attenzione nelle ordinanze e nelle verbalizzazioni.

E SE BOSSETTI TORNASSE A CASA?

Cinque anni del resto sono già trascorsi dal delitto, quasi due dall’arresto del muratore di Mapello. Il prossimo giugno la prima scadenza da tener d’occhio. Fine della carcerazione preventiva. Se il processo non fosse ancora finito, l’imputato tornerebbe automaticamente a casa. Assolutamente un suo diritto, intendiamoci. Ma una rimessa in libertà, prima del verdetto, che impatto avrebbe sulla gente?
Con l’anno nuovo, comunque, le udienze dovrebbero scorrere più rapidamente. La Corte ha ormai scalato la montagna dell’analisi dei fondamentali contributi scientifici che hanno guidato tutta l’inchiesta. Ora il processo assumerà una veste più accessibile. Sono attese in particolare le deposizioni della madre e della moglie dell’imputato. Che però dovrebbero occupare al massimo tre, quattro sedute. E infine toccherà a lui, Massimo Bossetti. Gli osservatori – i giudici per primi, naturalmente, ma sulla loro terzietà non sono leciti dubbi – si dispongano ad ascoltarlo con la più assoluta neutralità per poterlo raccontare obiettivamente e senza distorsioni.