La finanza a misura d’uomo. L’esperienza di Banca etica a Bergamo

Finanza ed etica sono due parole che possono stare una accanto all’altra? E, aspetto ancor più arduo, è possibile conciliarle nella pratica quotidiana? Il dibattito è aperto e ferve, dopo le ultime notizie relative ai crack di quattro banche italiane, che hanno tradito la fiducia che avevano riposto in loro correntisti e obbligazionisti. E potrà sembrare una mosca bianca, ma c’è chi nella finanza etica ci ha creduto da tempi non sospetti e ci crede tuttora, al punto di inserire una di queste parole nel suo brand: è il caso di “Banca Etica”, nata negli anni ’90 dall’impegno di migliaia di cittadini e organizzazioni che si interrogano sulla necessità di utilizzare il denaro in modo responsabile. Tra i soci fondatori, solo per citarne alcuni, figurano Acli, Agesci, Arci, Associazione Botteghe del Commercio Equo e Solidale, Cooperazione Terzo Mondo, Gruppo Abele, Mani Tese, Uisp. A quasi 21 anni dalla fondazione della “Cooperativa Verso la Banca Etica”, questa realtà può vantare una rete di 24 promotori finanziari (“banchieri ambulanti”) e 17 filiali in tutta Italia (la 18esima è stata recentemente aperta in Spagna). Una di queste si trova proprio nella nostra città, in via Borgo Palazzo, ed è stata inaugurata l’8 aprile 2013: da allora l’incremento della raccolta è più che raddoppiato (+128 per cento) e oggi vi lavorano tre persone.
Andrea Bravi, responsabile della filiale di Bergamo, sciorina i dati relativi alla situazione in terra orobica. Il capitale sociale è di 1 milione e 250mila euro, i soci sono attualmente 767 (con un incremento del 7,5 per cento sul 2014), la raccolta pari a 37 milioni e 700 mila euro (+22 per cento rispetto all’anno scorso) e infine i finanziamenti accordati sono pari a 6 milioni e 500 mila euro (+6,5 per cento sul 2014).
“Ci rivolgiamo a tutti per proporre un modo di fare banca il più possibile coerente con i principi della finanza etica – ha spiegato lo stesso Bravi- i progetti che finanziamo appartengono a quattro settori: animazione socio-culturale (associazionismo), cooperazione sociale, ambiente e organizzazioni no-profit, oltre alle nuove economie (imprese, anche profit, attente però all’impatto ambientale e alle ricadute sociali delle loro attività). Alla tradizionale analisi di merito creditizio economico/finanziaria abbiniamo una valutazione di indicatori non economici, quali la sensibilità sociale, ambientale ed etica. Questa valutazione viene effettuata dai Valutatori Sociali, volontari individuati dalle organizzazioni territoriali dei soci ed iscritti ad un apposito Albo tenuto dalla Fondazione Culturale Responsabilità Etica. Alla realtà che richiede il finanziamento viene dunque assegnato un punteggio: in caso la valutazione socio-ambientale risulti negativa, la realtà non può accedere al finanziamento stesso. Per fare un esempio, se un circolo Arci o un circolo Acli hanno slot machines, il progetto non viene finanziato”. Partecipazione e valutazioni scrupolose nell’erogazione del credito, dunque, ma non solo: una delle peculiarità fondamentali di Bance Etica consiste nella trasparenza. “Siamo l’unica banca al mondo che permette di verificare chi stiamo finanziando e chi abbiamo finanziato (tutti i finanziamenti sono pubblicati sul sito www.bancaetica.it, ndr)- ha aggiunto Bravi- e i nostri finanziamenti vanno a beneficio esclusivo dell’economia reale, che rappresenta già di per sé una grande differenza”. Una realtà virtuosa, dunque, che però è stata chiamata in causa per contribuire al salvataggio di 4 medie banche italiane. Secondo Banca Etica, infatti, “Il decreto salva-banche ha scelto di concedere a CariFerrara, Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti – in default a causa di una gestione opaca – di utilizzare il “fondo di risoluzione”: un fondo in costituzione ai sensi della Direttiva Europea sui salvataggi bancari atto a garantire un atterraggio soft di banche “sistemiche” con l’obiettivo di evitare rischi di contagio. A queste 4 banche italiane è stato concesso di utilizzare questo fondo, pur non avendone “probabilmente” i requisiti secondo la logica della Direttiva in parola, per il semplice fatto che tale normativa verrà recepita in Italia a far data dal 1 gennaio prossimo. A fronte di questa scelta del Governo si richiede al sistema bancario, inclusa la finanza etica, un contributo al costituendo fondo di risoluzione di molto superiore a quanto previsto. Nello specifico, per quanto riguarda Banca Etica, era stato preventivato e comunicato un contributo di 130mila euro per il 2015 e identica cifra per il 2016. Ora – a seguito del decreto salva-banche- ne sarà richiesto uno molto più oneroso che potrebbe superare i 500 mila euro nel 2015 e sfiorare i 400 mila nel 2016. Ancora una volta la regolamentazione penalizza la finanza etica, che da tempo annunciava i problemi del sistema finanziario e che durante la crisi è stata sempre in controtendenza: mentre le grandi banche contraevano sempre più il credito all’economia reale, Banca Etica ha mantenuto importanti tassi di crescita nei finanziamenti erogati a favore di famiglie e imprese sociali. Erogazioni che ora potremmo essere costretti a ridurre a causa dei contributi che ci vengono richiesti per salvare banche mal gestite. E nel colpire la finanza etica si colpisce quella parte di paese che continua a lavorare quotidianamente per lo sviluppo sostenibile e la solidarietà”. Un’altra finanza è possibile?