Le parole non sono mai garantite, contro il pericolo di perdere di vista il loro significato originario: «Natale» può anche ridursi a indicare la festa delle luminarie e dell’alta gastronomia, «misericordia» può far pensare a un atteggiamento di vaga benevolenza, alla disponibilità a versare di tanto in tanto un obolo (magari via SMS) a favore di chi sta messo peggio di noi. Proprio nel tentativo di recuperare un’accezione un po’ più profonda della «misericordia», che costituisce il tema del Giubileo straordinario aperto lo scorso 8 dicembre da Papa Francesco, abbiamo chiesto aiuto al cardinale Walter Kasper.
Nato a Heidenheim an der Brenz nel 1933, già docente e preside delle facoltà di Teologia a Münster e a Tubinga, vescovo emerito della diocesi di Rottenburg-Stoccarda e presidente emerito del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, egli ha anche avuto l’onore di essere menzionato nel primo Angelus dell’attuale Papa, il 17 marzo del 2013, come autore di un libro che Francesco diceva avergli «fatto tanto bene, tanto bene» (il volume in questione ha per titolo Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo – Chiave della vita cristiana; si veda per maggiori dettagli e per un estratto la nota bibliografica in coda a questa intervista).
Eminenza, da quando Papa Francesco ha citato questo suo saggio, lei è divenuto per i media il «teologo della misericordia». In effetti, questo argomento è anche al centro di altre sue opere. Ci potrebbe appunto raccontare come è nato in lei il desiderio di approfondire il tema della misericordia?
«Tutto è accaduto per caso o, per meglio dire, secondo una disposizione della provvidenza. Qualche anno fa ero intento a preparare delle prediche per esercizi spirituali. Quella sulla misericordia, però, non voleva vedere la luce. Cominciai a studiare questo tema e, man mano che procedevo, ne ero sempre più affascinato. Pensai che anche altri avrebbero potuto trovare la cosa interessante, e ne ebbi la conferma quando pubblicai un libro sull’argomento. Il mio obiettivo era che il messaggio della Bibbia sulla misericordia giungesse di muovo a toccare i cuori».
Sin dal medioevo – ma forse anche prima -, la teologia cristiana ha riflettuto sul rapporto tra la «giustizia» e la «misericordia» di Dio. Alcuni autori hanno cercato di mostrare come questi due attributi divini siano in accordo; altri hanno finito per privilegiare il primo aspetto, vedendo in Dio soprattutto un giudice inflessibile delle condotte umane. Come si può superare questa impasse? «Viene prima» la misericordia o la giustizia?
«Io seguo l’insegnamento di un grande maestro della teologia, san Tommaso d’Aquino. Egli afferma che Dio, nella sua sovranità, non è legato alle nostre regole di giustizia; Lui è giusto e fedele solo a se stesso, e la Sua essenza è la carità. Pertanto, la misericordia è la giustizia di Dio. Il Dio di Gesù Cristo non è un dio della vendetta, che minaccia e punisce, ma un Padre misericordioso che ci perdona e ci ama senza limiti, se noi Lo cerchiamo e gridiamo a Lui. Da parte nostra, noi dobbiamo imitare Dio. L’esercizio della misericordia non toglie gli obblighi relativi alla giustizia; essa è piuttosto la lente tramite cui vediamo che cosa sia giusto fare in una certa situazione. “Misericordia” vuol dire: “avere un cuore per i miseri” e fare per loro ciò che noi desidereremmo si facesse per noi, se fossimo in un’analoga situazione».
Più volte lei ha sottolineato che la misericordia non va confusa con il lassismo, con approccio di manica larga alla morale: vorremmo chiederle di tornare su questo punto, anche perché – in occasione dei due recenti Sinodi sulla famiglia – qualcuno si è sentito in dovere di denunciare un “cedimento” della Chiesa sui valori etici…
«La Bibbia ci dice che siamo chiamati a vivere “secondo la verità nella carità” (Efesini 4,15). La misericordia non va intesa come bonomia, cedevolezza o come sinonimo di un cristianesimo “a buon mercato”. Essa non cancella i comandamenti e i valori etici; ci motiva semmai a realizzarli non con le armi del rigore e della durezza ma con la medicina dell’amore, della prudenza e della pazienza. Come Dio ci perdona sempre di nuovo, anche noi dobbiamo perdonare all’altro e dargli una nuova chance».
La verità e la giustizia, considerate isolatamente, non rischiano di degradare in un’ideologia? Nel secolo scorso, alcuni grandi tentativi di «stabilire la giustizia» tra i popoli e le classi sociali sono sfociati in orrori su vasta scala. Detto diversamente: la misericordia e la carità non andrebbero sempre scritte «con le iniziali minuscole», stando attenti a che queste parole non si trasformino in slogan?
«Se la giustizia diventa un principio ideologico, che si vuole affermare a qualsiasi prezzo, allora davvero vale il detto latino summum ius, summa iniuria (“Il massimo del diritto, il massimo dell’ingiustizia”). Gesù, nella parabola del Buon Samaritano, ci propone una diversa visione dei rapporti con il nostro prossimo. Quando gli viene domandato, appunto,“Chi è il mio prossimo?”, Gesù, tramite questa parabola, risponde: “Colui che tu incontri e che ha bisogno del tuo aiuto, è l’espressione della volontà di Dio per te”. La misericordia apre i nostri occhi alle situazioni concrete, ai bisogni effettivi degli altri, e ci spinge a portare aiuto anche oltre la misura della semplice giustizia, proprio come ha fatto il Buon Samaritano».
Forse, a tratti, molti di noi si sentono anche come il viandante lasciato mezzo morto sulla strada «da Gerusalemme a Gerico». Si ha l’impressione – siamo troppo pessimisti? – che l’umanità, perlomeno in larghe aree del Nord del pianeta, sia spiritualmente esausta, tentata dalla disperazione o dal cinismo. L’idea di Papa Bergoglio per cui la Chiesa dovrebbe essere come «un ospedale da campo dopo una battaglia», in cui vengono curati i feriti, si accorda con questo stato di cose?
«Condivido questa analisi della situazione della nostra società occidentale. Però vorrei completarla. Soprattutto negli ultimi mesi, sono rimasto impressionato e ammirato osservando l’impegno infaticabile di tanti giovani volontari – credenti e non credenti – in favore dei rifugiati. Anche la vita delle nostre parrocchie si basa sul volontariato, soprattutto su quello delle donne. Ci sono ancora risorse morali e spirituali, che in situazioni di bisogno vengono fuori. C’è speranza».
Da giornalisti, siamo tenuti a riferire delle notizie: quella migliore, in tempo d’Avvento, è che Dio è sempre un po’ diverso da come ce lo rappresentiamo? Che, per esempio, non è semplicemente il custode dell’ordine/disordine del mondo presente?
«Dio è sempre più grande delle rappresentazioni che ci facciamo di Lui. Papa Francesco dice spesso che il nostro è “un Dio delle sorprese”. Lasciamoci dunque sorprendere da Lui, che è sempre in avvento, cioè sempre di nuovo in arrivo, di modo che non possiamo mai ritenere – per così dire – di averLo in tasca. Pure noi siamo un popolo di Dio in cammino».
Come ultimo punto, vorremmo chiederLe un brevissimo commento teologico a un celebre passaggio di San Paolo, dalla Prima lettera ai Corinzi (13, 12): «Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch’io sono conosciuto.
A seconda di come interpretiamo questo versetto – della qualità di sguardo che attribuiamo a Colui che ci conosce -, possiamo spaventarci o esserne consolati…»
«Mi è impossibile dare in poche parole una spiegazione esauriente di questo passaggio, tanto ricco e profondo di significato. Ritengo che sia consolante per due ragioni. Per prima cosa, ognuno di noi vi trova un motivo per poter dire a se stesso: “Dio mi conosce, mi ha scelto e mi ama da tutta l’eternità; non esisto per caso, per un capriccio del destino: Dio mi conosce, mi vede e mi ascolta, mi accompagna…” La seconda ragione è che la mia vita non va verso il nulla, non è destinata a estinguersi come la fiamma di una candela; alla fine, qualsiasi enigma o domanda irrisolta avrà una risposta, quando vedremo Dio “faccia a faccia”. Adesso viviamo nel tempo dell’Avvento, ma poi vi sarà una Pasqua senza fine».
Ricordiamo qui di seguito tre opere del cardinale Walter Kasper dedicate alla misericordia:
la prima, citata pubblicamente da Papa Bergoglio, ha per titolo Misericordia. Concetto fondamentale del vangelo – Chiave della vita cristiana (pp. 331, € 26,00); per gentile concessione dell’editrice Queriniana, da qui è possibile scaricare una parte del primo capitolo in formato PDF.
Le Edizioni Qiqajon della Comunità di Bose hanno invece pubblicato La sfida della misericordia (pp. 96, € 10,00), che comprende una prefazione di Massimo Cacciari e una raccolta di brani sul tema, da Giovanni XXIII a Francesco.
Per i tipi di Garzanti, invece, è da poco uscito il volume Testimone della misericordia. Il mio viaggio con Francesco (pp. 176, € 14,00), che raccoglie i testi di alcune conversazioni del cardinale con il vaticanista Raffaele Luise.