Il valore e la magia di un dono. E quel sogno ritrovato in un sorriso di luna

Un racconto sul disincanto, sull’incanto, sul valore dei sogni, su un dono speciale, sulla capacità di rinascere a se stessi. Sulla magia che fiorisce, a volte, da uno sguardo. Un’epifania del cuore

Ieri sera la luna mi ha sorriso. E’ vero. Era lì, appesa, un semicerchio di luce, uno spicchio appena, incastonato in un soffio di nuvole. Mi ha sorriso e basta. Uno di quegli attimi che ti restano nel cuore per sempre, senza che tu scopra mai il motivo. Ho sollevato lo sguardo e l’ho vista. Non c’era niente, nessuno. Ero sola e quel sorriso era tutto per me.
E’ stato allora che ho ritrovato qualcosa di inafferrabile: un sogno. Ancora più prezioso, perché credevo di averlo perso per sempre.
I sogni sono merce delicatissima. La vita spesso li fa a brandelli e li sparge come cenere al vento. Al loro posto lascia il disincanto, una materia più pesante, informe, ingovernabile, indigeribile. Fa parte dell’essere adulti, dicono. Dicono che bisogna rassegnarsi.
I sogni si perdono e basta. Non hanno una coda, come la stella cometa. Quando si dimenticano è come se non ci fossero mai stati. Non c’è una mappa per andarli a cercare, anche se valgono più di qualsiasi tesoro. Ma questo sogno è venuto da me spontaneamente, come un dono. Il più bello, il più inaspettato. Ce l’aveva una scia, luminosissima, e io l’ho seguita con lo sguardo, l’ho afferrata, me la sono appoggiata sul cuore, l’ho lasciata lì. Calda. Mi ha avvolto con una speciale, familiare morbidezza. Mi ha sorpreso. Era già mio, questo sogno, l’ho sentito. Non so perché l’avessi dimenticato. Non so dire quando si fosse smarrito, né perché. 
Il cielo fremeva in un andirivieni nervoso di nuvole. Le stelle si vedevano appena, accecate dal riverbero delle luci della città.
Ero appoggiata alle pietre, lungo le Mura, guardavo città bassa. Una bellezza a cui non ci si abitua mai. Il profilo dei palazzi, le luci accese nelle case, la vita che scorreva lungo le strade. I rumori erano lontani e lì c’ero solo io, con il mio respiro, il sangue che scorreva forte, un battito affrettato sotto la mia mano. L’ho restituito, quel sorriso, con mille altri, sentendo accendersi uno scintillio leggero nell’anima, quasi trasparente.
Ho pensato a cosa sarebbe stato di me se non avessi alzato lo sguardo. E se poi non avessi osservato bene, se avessi rinunciato a tenere quel sogno con me. Se non fossi riuscita a raccoglierlo. Ci pensavo ancora quando sono tornata a casa, lentamente, in auto. In silenzio, ignorando il telefono che vibrava, ancora preda di una strana magia.
Mio figlio era seduto in un angolo, aveva gettato per terra le luci e le decorazioni dell’albero di Natale, le statuine del presepe rovesciate. “Cosa succede?” ho chiesto.
“C’è che il mio Natale è rovinato per sempre”.
“E perché?”
“Perché ho scoperto che Santa Lucia e Babbo Natale non esistono, siete voi che mi fate i regali”.
“Mi dispiace che tu l’abbia scoperto così”.
Sono rimasta spiazzata. Mi sono detta che avrei voluto esserci quando il suo mondo è crollato all’improvviso, che avrei voluto che accadesse senza tutta quella sofferenza.
Poi ho pensato al mio sorriso di luna e ho capito: un sogno che muore fa male in ogni caso. Tanto male, anche se non sembra. Anche se sparisce da solo, se non è colpa di nessuno, se è la vita che se lo porta via. La disillusione è una ferita che resta per sempre. La prima, quella che si sperimenta da bambini, più delle altre. Tutti ricordiamo il momento in cui è avvenuto, chi ci ha rivelato quel segreto che non avremmo voluto sapere mai. Ma in fondo, prima o poi dovevamo comunque scoprirlo, sapere, capire.
Arrivano altri lutti, poi, altre piccole morti, che preferiamo dimenticare.
“La magia – ho detto a mio figlio – è dentro di noi. Basta che tu voglia, che tu la tenga viva, e non la perderai mai. Io ho fatto tutto questo ogni anno – le letterine, i regali, i dolci, la stradina di monete – per renderti felice, per mostrarti la bellezza del Natale in un modo che resterà tuo per sempre. Per farti capire cos’è, come ti cambia un amore grande, gratuito, offerto senza chiedere nulla in cambio. E ne sei stato contento. L’ho fatto perché ti voglio bene. L’amore non se ne va, e resta anche il mio desiderio di realizzare per te qualcosa di bello, non cambia il senso del dono, che non è solo un oggetto, ma è offrire qualcosa di sé. Solo che tu adesso lo sai. Allora d’ora in poi condivideremo anche questo”.
Non ci si può proteggere dal disincanto. Arriva e basta, non conta quanto è robusta la tua armatura, se indossi l’elmo, quanto lontano sai scappare. Non si possono tenere al sicuro le persone che si amano da questo. Non c’è una vaccinazione, nessuno è immune. Non capita solo da bambini. Anzi, agli adulti capita più spesso. Ci sono prove così dure che non si riesce a guardare al di là, a trovare un motivo. Nella disperazione ci si può perdere.
Eppure i sogni restano il motore del mondo. Ci fanno vedere la realtà come non è ma potrebbe essere. Sono come farfalle, volano via. Trattenerli è impossibile. Come lucciole, illuminano il cuore. Proiettano un’immagine migliore di noi stessi, quella che vorremmo realizzare. Come candele, bruciano e lasciano un buon profumo. I sogni ci tengono vivi.
Sono necessari, ma lo è anche il disincanto. Segna il passare del tempo, ci fa capire quando è ora di uscire dalla nostra pelle e trovarne una nuova, come fanno i serpenti. Non è indolore, no. Ma ci ripresenta con un nuovo volto a un futuro diverso. Ogni volta possiamo essere capaci di perdere qualcosa e guadagnare qualcos’altro, a patto che continuiamo a crederci. A fidarci della nostra capacità di far nascere una nuova magia dalle ceneri di un sogno smarrito, e di rigenerarci con lei come la fenice. A volte basta poco. Basta un sorriso di luna.

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La foto di apertura del post è © di Gianvittorio Frau