Nel discorso ai rappresentanti dei 180 Paesi accreditati presso la Santa Sede, il Papa lancia un forte appello ad abbandonare lo “spirito individualista” per affrontare la “grave emergenza migratoria”. Esorta l’Europa a non perdere il suo “spirito umanistico” ed esprime “gratitudine” all’Italia impegnata “in prima linea”. “Non si può mai uccidere in nome di Dio”, ribadisce motivando il “no” a estremismo e fondamentalismo, che pongono “un serio interrogativo culturale”. Nell’anno del Giubileo vincere “la fredda indifferenza”
I migranti – “con il loro carico di difficoltà e sofferenze, che affrontano ogni giorno nella ricerca, talvolta disperata, di un luogo ove vivere in pace e con dignità” – come cartina al tornasole dello stato di salute “di questo nostro mondo, benedetto e amato da Dio, eppure travagliato e afflitto da tanti mali”. È il cuore del terzo messaggio di Papa Francesco al Corpo Diplomatico, uno dei più lunghi del pontificato, quasi un’ora di discorso pronunciato nella Sala Clementina di fronte ai rappresentanti dei 180 Stati che attualmente intrattengono relazioni diplomatiche con la Santa Sede, a cui vanno aggiunti l’Unione europea e il Sovrano Militare Ordine di Malta, come anche la Missione Permanente dello Stato di Palestina. Nelle parole appassionate di Francesco, i migranti diventano il simbolo degli “ultimi” delle nostre società, vittime di quello “spirito individualista” che è “terreno fertile per il maturare di quel senso di indifferenza verso il prossimo, che porta a trattarlo come mero oggetto di compravendita, che spinge a disinteressarsi dell’umanità degli altri e finisce per rendere le persone pavide e ciniche”.
Vincere la paura. “Riflettere sulla grave emergenza migratoria” che stiamo affrontando, allora, non serve solo a “discernerne le cause” e “prospettare delle soluzioni”, ma a “vincere l’inevitabile paura che accompagna un fenomeno così massiccio e imponente, che nel corso del 2015 ha riguardato soprattutto l’Europa”, méta di un flusso di profughi senza precedenti per la sua imponenza, nemmeno al termine della seconda guerra mondiale. Ed è proprio al nostro Continente che il Papa dedica la parte centrale del suo discorso, senza dimenticare altre frontiere drammatiche, come quelle fra Messico e Stati Uniti, che attraverserà nel prossimo viaggio in Messico. Gli sbarchi massicci sulle nostre coste, denuncia Francesco, “sembrano far vacillare il sistema di accoglienza, costruito faticosamente sulle ceneri del secondo conflitto mondiale”, che “costituisce ancora un faro di umanità cui riferirsi”. Gli interrogativi sulle “reali possibilità di ricezione” e i timori per la sicurezza, esasperati dalla “dilagante minaccia del terrorismo internazionale”, ammonisce il Papa, non devono “minare le basi” di quello “spirito umanistico che l’Europa da sempre ama e difende”: l’Europa, “aiutata dal suo grande patrimonio culturale e religioso”, ha ancora “gli strumenti per difendere la centralità della persona umana e per trovare il giusto equilibrio fra il duplice dovere morale di tutelare i diritti dei propri cittadini e quello di garantire l’assistenza e l’accoglienza dei migranti”.
“Gratitudine” ai Paesi “in prima linea” nell’affrontare l’emergenza migratoria – che non vanno lasciati soli – e “particolare riconoscenza all’Italia, il cui impegno deciso ha salvato molte vite nel Mediterraneo e che tuttora si fa carico sul suo territorio di un ingente numero di rifugiati”.
È il tributo speciale del Papa, che considera inefficaci sul piano umanitario e politico “soluzioni perseguite in modo individualistico dai singoli Stati” e sostiene che “le migrazioni costituiranno un elemento fondante del futuro del mondo”.
No all’estremismo e al fondamentalismo – “non si può mai uccidere nel nome di Dio” – per sconfiggere i quali, insieme al terrorismo bisogna porsi, proprio a partire dal fenomeno migratorio, un “serio interrogativo culturale”, in un duplice senso:
chi è accolto deve “rispettare i valori, le tradizioni e le leggi della comunità che lo ospita”, chi accoglie deve “valorizzare quanto ogni immigrato può offrire a vantaggio di tutta la comunità”.
Del resto, “tutta la Bibbia ci narra la storia di un’umanità in cammino”, la storia di ogni uomo “è fatta di tante migrazioni”: ancora oggi, il grido di Rachele “è la voce delle migliaia di persone che piangono in fuga da guerre orribili, da persecuzioni e violazioni dei diritti umani, di quanti sono costretti a fuggire per evitare le barbarie indicibili praticate verso persone indifese, come i bambini e i disabili, o il martirio per la sola appartenenza religiosa”. Ancora oggi, il grido di Giacobbe “è la voce di quanti fuggono dalla miseria estrema” e dalla fame. “Spesso questi migranti non rientrano nei sistemi internazionali di protezione”: è il frutto della “cultura dello scarto”.
Andare “oltre la risposta di emergenza”, la direzione indicata da Papa Francesco alla comunità internazionale. “Gran parte delle cause delle migrazioni si potevano affrontare già da tempo”, ma anche oggi, “prima che sia troppo tardi, molto si potrebbe fare per fermare le tragedie e costruire la pace”. Ad esempio, facendo dell’anno del Giubileo “l’occasione propizia perché la fredda indifferenza di tanti cuori sia vinta dal calore della misericordia”.
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