Da Suisio alla Francia: sulle tracce degli emigranti bergamaschi del Novecento

Da Suisio alla Francia per seguire le strade che compirono gli emigranti italiani, rendere omaggio alle famiglie che furono costrette ad abbandonare i loro paesi per la durezza della crisi postbellica e cogliere le similitudini con le migrazioni attuali, pur con le differenze esistenti.
Martedì 12 Gennaio a Suisio, presso la Sala della Comunità sono intervenuti Gianna Cesaretto e don Domenico Locatelli per raccontare le loro storie, nell’ambito delle iniziative promosse per la Giornata Mondiale del Migrante e del rifugiato.
Don Locatelli oggi è parroco di Montello, ma dopo l’ordinazione sacerdotale e le prime destinazioni nelle comunità di Urgnano e Foppolo accolse con entusiasmo la proposta dell’allora vescovo Roberto Amadei di “emigrare” a Yverdon-les-Bains, in Svizzera. Dopo fu direttore della Migrantes a Roma e più tardi seguì due comunità pastorali a Bruxelles, capitale sempre più secolarizzata, dove soltanto cinquecento Italiani su cinquantamila partecipavano alle Messe domenicali in lingua italiana.
Le spiegazioni sono state intervallate da letture di brani tratti da testimonianze dei bergamaschi emigrati nel sud-ovest della Francia e da esemplificazioni e analogie con la situazione odierna.
Nel 1924 partì per la Francia un gruppo di 16 famiglie bergamasche (cinque di Calusco, quattro di Suisio, una di Albegno, una di Chiuduno, una di Trescore Balneario, una di Calcinate e una di Caravaggio) per un totale di 150 persone. Partirono con un treno speciale dalla stazione di Calusco d’Adda, e fondarono una colonia sulla tenuta di Bruka, situata nel comune di Blanquefort, nella regione del sud-ovest francese assumendo il controllo, con un contratto di affitto collettivo, di 400 ettari di terreno di proprietà del marchese François de Scorraille. I caratteri costitutivi di questa colonia bergamasca, intitolata al patrono della città, Sant’Alessandro, sono unici nel panorama dell’immigrazione contadina italiana. Questo insediamento suscitò infatti l’interesse degli studiosi francesi dei fenomeni migratori per il carattere collettivo dell’affittanza, in un periodo storico in cui l’immigrazione italiana verso il sud-ovest della Francia era costituita in prevalenza da singoli nuclei familiari.
Gli Italiani erano chiamati “Macaronì”, e incontravano nell’emigrare molte difficoltà come per esempio alloggi inospitali o la puntura al braccio a cui furono sottoposti gli italiani che transitavano per Ventimiglia; molti non avevano in progettato di emigrare per tutta la vita, ma una volta giunti là, con il trascorrere degli anni, decisero di rimanere stabilmente.
Emigrarono perché in Italia vivevano con terre ristrette e di mezzadria, e in Francia trovarono campi estesi a perdita d’occhio, dove vi era necessità di manodopera poiché in quei territori era in corso un esodo dalle campagne alle città.
Le 16 famiglie furono accompagnate da don Agostino Vismara, direttore dell’Opera Bonomelli, e la colonia non fu mai un ghetto, ma un luogo aperto, tant’è che i Francesi assistevano numerosi alle rappresentazioni teatrali o agli intrattenimenti realizzati dai bergamaschi.
L’integrazione con la popolazione locale fu voluta fortemente dai bergamaschi e realizzata attraverso la frequenza della scuola locale, in alcuni casi particolari in classe vi erano addirittura più studenti bergamaschi che francesi, e questo creò qualche problema iniziale con l’apprendimento della lingua francese. Oggi gli Italiani di Auch sono parte integrante di quella terra. Ancora oggi gli Italiani sono emigranti nel mondo. La loro storia, vedete, non è così tanto diversa da quella dei migranti di oggi.