Porto di terra. La fraternità di Romena

Foto: don Luigi Verdi: “Se si vuole un cambiamento, questo dipende unicamente da noi. È la forza della debolezza”.

UN PRETE E LE SUE FRAGILITÀ

Se ti fermi al linguaggio, la conversazione è subito finita. Dopo cinque minuti che parli con don Luigi Verdi – Gigi per i molti amici – devi abituarti alla parlata toscana e alle inflessioni dialettali colorite. Se hai tempo e vai oltre, ti trovi di fronte ad un prete che ha fatto i conti, sin da piccolo, con le sue fragilità che è riuscito a trasformare, non senza fatica, in risorsa e opportunità, anche spirituali. Anche spirituali. Lo racconta senza pudore, mettendoti quasi in imbarazzo, quando ti fa vedere le mani e la caviglia. “Quando sono nato, le dita delle mani e quelle dei piedi erano appiccicate. Le ho nascoste per anni. Poi ho capito quella parola di Gesù: la pietra scartata è diventata testata d’angolo». Da quell’intuizione è nata la fraternità di Romena, dal nome della magnifica pieve romanica che da più di vent’anni ospita don Gigi e un piccolo gruppo, variegato, di cercatori di Dio. Attorno a loro, in alcuni periodi dell’anno si raggrumano centinaia di persone provenienti da molte parti. Tantissimi sono coloro che partecipano alle veglie portate in giro per l’Italia. Come quella di martedi prossimo, 19 gennaio, a Bergamo, presso la chiesa dei Frati Cappuccini in Borgo Palazzo.

TUTTO È NATO DA UNA CRISI 

Un tempo sarà stato anche timido ma ora quando inizia a parlare don Gigi è un fiume in piena, inarrestabile. “Sono un prete da ormai tanti anni. Dopo sette anni di sacerdozio sono entrato in crisi. Ho chiesto al mio vescovo un anno sabbatico che ho voluto vivere fuori: in mezzo ai campesinos in Bolivia, nel deserto algerino, sulle tracce di Charles de Foucauld. Ho cercato di incontrare alcuni testimoni di umanità e di Vangelo. Volevo mettermi nella giusta distanza per capire da dove ripartire. Non volevo progetti, sempre un po’ demoniaci, né comunità. Semmai passioni e fraternità. San Francesco è partito da un innamoramento. Sono tornato e mi è venuto in mente di provare a dare una mano a chi era in crisi. Ma per farlo dovevo capire la mia, anzitutto. Che nasceva da una profonda timidezza e sulla quale bisogna lavorarci molto. Una volta capito questo, ho cercato di trasformare la maledizione in benedizione. Vedi, io ho delle mani con delle dita tutte tagliate e una gamba più corta perché mia madre, quando era in attesa di me, aveva preso il talidomide, una medicina che molte donne, alla fine degli anni cinquanta, prendevano, per cui tanti bambini nascevano senza braccia e gambe. Allora mi son detto: ma io non posso farla pagare a tutti perché ho questa timidezza da impazzire, gli occhi che fuggono e questo nascondere di continuo le mani, ecc. Trovai il Salmo 118 che diceva: La pietra scartata è diventata pietra angolare. Mi sono detto: ma perché i miei punti deboli, gli occhi, le mani, non possono diventare il meglio di me? Per cui ho cercato di lottare con me, perché l’unico modo per cambiare e per maturare nella vita è quello di lottare con noi e ho cercato per un anno intero di guardare le persone negli occhi senza scappare dagli occhi. Da dentro, una voce mi gridava: fuggi, fuggi! E io non scappavo. Inoltre, ho cominciato a dipingere delle icone e a fare tante cose con queste mani. Quindi, se devo dire il meglio di me, ora sono gli occhi e le mani: quello che era il peggio è diventato il meglio. Per cui, il servizio che provo a fare qui a Romena è quello di provare a dare una mano a chi è in crisi, provare a far capire che ogni difficoltà, ogni momento duro o di fatica o di ferita che hai vissuto, l’unica cosa che puoi fare è trasformarlo. È smetterla di lamentarti e farlo diventare utile. Ognuno di noi ha una ferita. Perché, l’ho imparato sulla mia pelle, se si vuole un cambiamento questo dipende unicamente da noi. È la forza della debolezza. Mia, tua, di tutti noi. Se uno non sa perdonare il suo passato, è finito. Non riesce ad immaginare il suo futuro”

UN LUOGO DELLO SPIRITO

Siamo agli inizi degli anni Novanta. Il vescovo di Fiesole affida a don Gigi la pieve di San Pietro di Romena, certamente uno dei più belli edifici romanici del Casentino, ad una cinquantina di chilometri da Arezzo. Una chiesa della metà del dodicesimo secolo, costruita sui resti, in parte visibili sotto il presbiterio, di un precedente edificio di culto dell’ottavo secolo. Il fascino della pieve, che ha la pianta basilicale a tre navate, sorretta da colonne monolitiche ornate da capitelli di pregevole fattura di scuola lombarda, resta intatto nonostante alcuni rimaneggiamenti. Le bifore e le trifore dell’abside inondano di luce un luogo carico di storia e di spirito. Chiedo a don Gigi: “Se ti arrivano molti in crisi, non rischi di fare il guru consolatorio?” “Ce lo siamo chiesti più volte. Io lo dico chiaramente a quanti ci vengono a trovare: non sono un guru e la mia non è una comunità che protegga o faccia da mamma”, mi dice. “Penso che la saggezza spinga a rendere le persone babbi e mamme. di se stessi. L’aiuto che si può dare alle persone è accogliere il dolore, accogliere la fatica di vivere. L’accoglienza è il primo punto: il secondo è disarmare il meccanismo che distrugge la persona, perché quando sei depresso, distrutto, i tuoi occhi vedono soltanto il negativo, non riescono a scorgere una possibilità nuova. Terzo ridare lo zaino e continuare a farli camminare. Di più sarebbe ingannevole, se vuoi farlo al posto loro”. Concretamente, l’attività di base di Romena è rappresentata da un cammino strutturato in tre corsi: il primo accompagna lo sforzo di ‘rientrare in noi stessi’, attraverso un incontro in profondità con le radici e la personalità, il secondo esprime la ricerca di quel soffio divino che possa colmare la nostra voglia di infinito, il terzo è dedicato al ‘fare casa’, ognuno nell’ambiente in cui vive. Questo percorso di ricerca, in venti anni, è stato compiuto da oltre diecimila persone provenienti da tutta Italia, che poi lo hanno alimentato con uno spontaneo passaparola: i figli hanno invitato i genitori, i genitori i figli, gli amici altri amici.

Oggi ai corsi, guidati da diverse persone che vivono in ambienti diversi con don Gigi, partecipano uomini e donne di tutte le età e di tutte le provenienze sociali, culturali, religiose. Questa ‘apertura’, dice don Gigi, è forse il tesoro più grande di Romena. Attorno ai corsi, si sono strutturati molti altri rami. Così oggi Romena si muove per l’Italia con le sue Veglie, come quella di martedi prossimo in Borgo Palazzo, incontri di preghiera nello stile della Fraternità che toccano ogni anno cinquanta città italiane, arriva in oltre diecimila famiglie con il suo Giornalino trimestrale, affida il suo contributo di idee alle pubblicazioni della sua Casa Editrice, abbraccia con i suoi incontri i grandi testimoni del nostro tempo (a Romena, sono passati, tra gli altri don Luigi Ciotti, mons. Bregantini, Antonietta Potente, Ermes Ronchi, Arturo Paolo, Erri De Luca). Dal suo ‘porto di terra’, inoltre, Romena lascia costantemente partire nuove ‘navi’: da dieci anni esiste la Compagnia delle arti, specializzata nel realizzare spettacoli e animazioni creative in ospedali, case di riposo, centri disabili, e il gruppo Nain, formato da alcune decine di famiglie unite del dramma più grande, la perdita di un figlio, ma che hanno trovato nella condivisione il sostegno fondamentale al loro cammino di vita.

DIO È UN BACIO

Riprende don Gigi: “Ripartire dalla bellezza e dalla tenerezza. Questa frase di Papa Giovanni XIIII mi ha sempre colpito e vuole essere il messaggio di Romena”- In effetti, il visitatore, anche occasionale, rimane colpito dalla bellezza. Del posto e della chiesa, certamente. Ma anche dei luoghi: la cura delle piccole cose, le sale arredate con gusto, la scelta dei materiali, la “via della Resurrezione” che porta, ad un chilometro di distanza, al castello di Romena, l’antico “castrum” risalente all’anno Mille, già proprietà della Signoria di Spoleto. Una bellezza – questa della Fraternità – che si fonda su un’esperienza spirituale centrata sulla vicenda di Gesù, “paradigma dell’umano” lo chiama don Gigi. “Vedi, Gesù non voleva fondare una religione. Nel suo cammino, Gesù va alle radici dell’essenza dell’umano e dell’essenza del divino. Con leggerezza e semplicità. Noi abbiamo appesantito il tutto. Occorre invece aiutare le persone ad essere libere. Presentando, anzitutto, un volto misericordioso di comunità cristiana. Capace di ascoltare, di accogliere, di guardare, di amare. Capire e comprendere, che non vuole dire giustificare.” “Dio è un bacio”, amava ripetere padre Benedetto Calati, il priore generale camaldolese morto nel 2000. E una preghiera di don Gigi lo fa presente: “Dio è un bacio di luce sulle mie lacrime, fuoco sui miei sorrisi, miele sulle mie amarezze, fiato alla mia voglia di libertà. Dio che è un bacio che prepara alla lotta,/come una strada apre il mio sorriso”

UNA PORTA APERTA

Vieni, chiunque tu sia. Sognatore, devoto, vagabondo, poco importa. Vieni anche se hai infranto i tuoi voti mille volte. Vieni, vieni, nonostante tutto, vieni”. Sono queste parole di Rumi, il grande mistico mussulmano sufi, ad accogliere chi passa a Romena. Credenti e non credenti, inquieti e in ricerca: il loro numero cresce con il passare degli anni. In cambio, a tutti loro viene chiesto di accettare i tempi della fraternità, fatti di silenzio, di preghiera semplice, di scambio. “Offriamo un tempo di sosta perché ciascuno si guardi nel profondo. Non bisogna aver paura del vuoto perché il vuoto è uno spazio su cui diventa importante la creatività, il cambiamento. Per esempio, i contadini da me dicono: se vuoi che il nuovo nasca, devi potare. Se non poti, non nasce un cambiamento. Noi invece ci siamo abituati ad accumulare, ad aggiungere, aggiungere, e non c’è quello spazio vuoto di creatività, di ripensamento sulla vita, uno spazio che magari diventa creativo per qualcosa di nuovo”.

Come immagini la parrocchia di domani? “Un luogo che custodisce bellezza, tenerezza che tiene la porta aperta, il focolare acceso. La salvezza è diventare fraternità. Noi diciamo a chi viene da noi: “Leggi due righe di vangelo e poi comincia a viverlo”. Charles de Foucauld prevedeva un nuovo tipo di santo per il futuro: un “Uomo o una donna che prenda su di sé la complessità di questo tempo e trovi un’idea semplice”. In più, diamo un pezzo di pane, un po’ di affetto, lo facciamo sentire a casa. Proprio come faceva Gesù: una fede nuda, essenziale, capace di cura e di legami. Tutto il resto serve a poco” Quale sarà il futuro di Romena? “Non lo so. Per quanto mi riguarda, vorrei ritagliarmi uno spazio ancora più grande per il lavoro manuale, il silenzio e la preghiera. Spesso dico l’unico modo di essere felici è di realizzare un sogno. Lo racconto ai giovani ma vale anche per gli adulti. Penso a Romena come un posto dove si impara a guardare alle proprie fragilità ma si riconosce che l’amore di Dio è più grande delle nostre miserie. “Siate leggeri come gli uccelli, non come le piume” diceva Paul Valéry. Leggero è chi coglie il nocciolo della vita. La leggerezza richiede un lavoro profondo, una disciplina interiore e vorrei che qui aiutassimo a coglierla. E poi un luogo di tenerezza. Perché la tenerezza, credimi, è l’unica cosa capace di fermare il tempo.”

 

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