La politica non è un lusso e non è da riservare ai vescovi. A proposito di un documento del cardinal Scola

Foto: don Sturzo

Si va verso le elezioni amministrative di primavera, che interessano molti Comuni, tra cui Milano, Torino, Bologna, Roma, Napoli.

LA VOCE FLEBILE DEI CATTOLICI IN POLITICA

Non sorprende pertanto che il Consiglio episcopale milanese – il card. Angelo Scola e i suoi vicari episcopali – abbia indirizzato “ai fedeli della Diocesi ambrosiana e a tutti coloro che sono disponibili e interessati al confronto alcune indicazioni in vista delle prossime scadenze elettorali”. Si tratta di un Documento breve in sei punti, dei quali l’ultimo punto è costituito da una domanda secca: “Che cosa ti impedisce o ti trattiene dall’offrire il tuo contributo, cojn il pensiero, la parola, la riflessione documentata e condivisa, con il tempo, il voto, la candidatura a una responsabilità amministrativa, per edificare una città sempre migliore?”. Il Documento nasce nel contesto pre-elettorale milanese, nel quale finora le uniche candidature certe sono quelle della sinistra e di forze di centro, mentre mancano quelle ufficiali di centro-destra. E, quanto ai cattolici, la voce è flebile, CL non è più in prima fila con propri candidati.

I CATTOLICI NON DEVONO CENSURARE LA POLITICA

Il punto 1. chiede che le questioni della politica e dell’amministrazione vengano sottratte alla censura, cui sono state troppo a lungo sottoposte “nei confronti interni della comunità cristiana”, nella convinzione che sia possibile “praticare uno stile cristiano tra coloro che hanno a cuore la vita buona in città…  consapevoli del bene che è l’essere insieme in una società in cui convivono persone portatrici di cosmovisioni diverse”. Insomma: i credenti devono impegnarsi, facendo riferimento “con competenza aggiornata e con capacità argomentativa agli insegnamenti ecclesiali, raccolti nella Dottrina Sociale della Chiesa (Compendio della dottrina sociale della Chiesa, Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace, 2004) e ribaditi con alcune particolari insistenze da Papa Francesco (Evangelii gaudium, 2013 e Laudato si’, 2015). Alcuni temi assumono nei nostri giorni un rilievo particolare: la famiglia e le problematiche antropologiche e demografiche, la povertà e le forme della solidarietà, il lavoro e le prospettive per i giovani, la libertà di educare, l’attenzione alle periferie geografiche ed esistenziali”.

I VESCOVI NON DEVONO CENSURARE I LAICI

Nonostante la brevità schematica del Documento, esso contiene una novità rilevante: quella di considerare il rapporto cattolici-politica come una variabile dipendente del rapporto Gerarchia-Laici: “Si lascia ai Vescovi di formulare valutazioni, mentre i laici cristiani sono spesso senza voce di fronte alle questioni emergenti del nostro tempo, zittiti dai media, ma anche timidi nell’esporsi con proposte in cui si mettano in gioco di persona. Il “buon esempio” stenta a diventare testimonianza”. Qui si tocca un nodo storico del rapporto politica-cattolici in Italia. Se i laici hanno paura di assumersi responsabilità “adulte” nei confronti della politica, è solo dovuto a pigrizia o a viltà o, piuttosto, non dipende anche dal fatto che le gerarchie hanno sempre preferito fare politica anche a nome e al posto dei laici? E’ noto che Pio XI sacrificò Sturzo, fondatore del Partito popolare – quale partito non cattolico, ma di cattolici – sull’altare di un rapporto diretto con Mussolini; così come Pio XII avrebbe preferito una milizia politica al servizio della Chiesa – qualcuno ricorda “la gioventù cattolica in cammino, qual falange di Cristo redentore”!? – piuttosto che il partito della Democrazia cristiana, più clericale del PPI, ma assai meno dei Comitati civici e dell’Azione cattolica di Carlo Carretto (quello del 1948!). Ed è anche noto il metodo Ruini, negli anni della crisi della rappresentanza politica democristiana.

L’ALTERNATIVA FRA OBBEDIENZA OTTUSA E INDIFFERENZA 

Ma la paura dell’impegno per la quale i credenti sono “spesso sopraffatti da un senso di impotenza che li orienta a preferire gesti spiccioli di generosità agli impegni politici e amministrativi”, dipende dal fatto che, più in generale e più diffusamente, anche “il clero basso” tende ad accentrare molte scelte, così che ai laici resta l’alternativa tra la fedeltà ottusa o l’indifferenza. Scola precisa che “i cattolici che si fanno carico di quella forma di carità che è l’impegno politico e amministrativo si assumono responsabilità come singoli e come associati: non devono pretendere di essere espressione diretta della Chiesa”. La Chiesa non si schiera, i cattolici sì. Il fermento cristiano è essenziale per la società civile plurale moderna. Ma finora la sua fecondità è stata per lo più soffocata dall’esercizio di potenza ecclesiastico. Il qualunquismo scettico e il populismo vociante sono nati anche dalla fuga di molti credenti, ritiratisi nel privato di catacombe intimistiche e caritatevoli.

Il passaggio dei credenti dai “gesti spiccioli” alla carità autentica – quella della politica – nel nome di una “società buona” rimetterebbe in circolo idee, energie, entusiasmi, che le vecchie culture politiche hanno consumato. Sarebbe una buona novella.