Le polpette di Nonna Bettina. Come risolvere il problema degli avanzi. E, quasi quasi, del lavoro

Nonna Bettina mi mostra una ricetta perfetta per risolvere il problema degli avanzi.
«Facciamo le polpette» mi dice.
Accendo la macchina fotografica, prendo carta e penna e le chiedo gli ingredienti.
«Il frigo» mi dice puntando il dito alla cucina. Ci spostiamo vicino ai fornelli, apre il frigo e inizia a prendere delle bacinelle. «Dunque, qui c’è della carne di vitello che m’è avanzata dal bollito, carote bollite, cipolla bollita, sedano e zucchine bollite…».
«Nonna sei sicura di non esserti portata avanti con la preparazione?».
«Sicurissima». Risponde con un sorriso che basta a confessare la colpevolezza.
Porta tutto sul tavolo, prende il tritatutto, ci butta dentro le verdure e la carne che aveva bollito, aggiunge un pizzico di aglio e prezzemolo e accende.
«Fa tutto lui» urla per sovrastare il rumore.
Aspetto che spenga e rovesci il composto in una bacinella prima di chiederle di raccontarmi una storia.
«Che vuoi sentire?» mi chiede come sempre, alzando le spalle, come se la sua vita non fosse zeppa di episodi che valga la pena di raccontare.
«Quello che preferisci» le rispondo rimandando al mittente la scelta dell’argomento.
La nonna aggiunge pane grattato, due uova, formaggio, pepe e sale, e mescola con un cucchiaio di legno.
«Lo sai che da giovane ho lavorato per qualche tempo in Svizzera?»
Faccio finta di essere sorpreso, ma la nonna sa che sto fingendo.
«Eravamo in tante, partivamo con il treno e stavamo via, a lavorare. C’era un palazzo enorme, pieno di stanze con il cucinino e il letto. Stavamo lì, facevamo i turni in fabbrica, poi di tanto in tanto tornavamo a casa, a far visita».
Leggo nei suoi occhi un pizzico di disgusto.
«Non ti piaceva?»
«Avevo sì e no quindici anni. A chi piacerebbe andare via a quindici anni?»
«In effetti oggi prima dei venticinque non ci si schioda di casa»
«Appunto».
Prende l’impasto, ne fa una pallina, la ricopre di pane grattato e la compatta per bene.
«Un giorno sono tornata a casa, a trovare la mia famiglia, e una ragazza che lavorava alla manifattura Ravasio, qui a Sarnico, mi ha consigliato di andare a chiedere lavoro al padrone, di aspettarlo fuori dal cancello, quando usciva con l’autista».
«L’autista?» segno io tra gli appunti.
«Certo, cosa credi? Che andasse in giro in bicicletta? Il Ravasio era uno sciòr, aveva la fabbrica, ci lavorava mezzo paese di Sarnico. Aveva questi» mi dice sfregando indice e pollice, sporchi di pangrattato.
«E ti ha dato il lavoro?»
«Macché, l’ho aspettato al cancello, ho appoggiato la bicicletta al muretto e quando mi ha visto ha aperto la portiera e mi ha chiesto cosa volevo. Gli ho risposto che cercavo lavoro, ma quello è tornato in macchina e è andato via, senza rispondermi, Ho pensato che non gli servissero operai, o che non gli fossi andata a genio per i miei modi, invece dopo qualche metro la macchina s’è fermata, lui è sceso e mi ha chiesto come mi chiamavo».
«E ti ha dato il lavoro?»
«Macché. Oldrati Elisabetta, gli ho risposto. Credevo che volesse segnarsi il nome da qualche parte, invece è risalito sull’auto e se ne è andato davvero».
Fatte quattro palline più o meno della stessa misura, la nonna mette sul fuoco una padella con del burro e accende il fuoco.
«La mia amica, quella che ci lavorava, quando gli ho raccontato com’era andata, mi ha detto di star tranquilla, che se mi aveva chiesto il nome mi avrebbe cercata, ma non potevo stare a aspettare, avevo il treno per la Svizzera e sono partita di nuovo».
«Quindi niente lavoro a Sarnico».
Nonna Bettina fa una pausa, prende una padella coi bordi bassi, ci fa sciogliere del burro e aggiunge le polpette.
«Qualche giorno dopo mi hanno chiamato da casa, per dirmi che la manifattura Ravasio mi aveva cercato, e loro gli avevano detto che ero andata via qualche giorno, a far visita a una zia, in città».
«Ma se eri in Svizzera» protesto io.
«Certo che ero in là, ma mica potevo dirglielo, se no andavano a cercare qualcun altro. Ho fatto i miei bagagli al volo e sono tornata a casa. Due giorni dopo ho iniziato a lavorare al Ravasio, a cinquecento metri da casa. Addio Svizzera».
Nonna Bettina lascia sfrigolare le polpette qualche minuto per lato.
«Hai visto come si faceva a cercare lavoro? Si andava, si chiedeva, e se c’era c’era, se non c’era non c’era. Mica come adesso che fanno i colloqui, poi qualcuno lo trova, qualcuno no, qualcuno dice che c’è, qualcuno che non c’è, qualcuno gli va bene, qualcun altro no».
La nonna prepara un piatto, ci mette sopra le polpette e me le fa vedere.
«Hai visto com’è facile?» dice riferendosi alla ricetta.
«Come cercare un lavoro?».
La nonna fa una smorfia titubante. «Quasi».

Polpette_NonnaBettina

Ingredienti
500 gr di carne di vitello bollita
Carote, zucchine, sedano, cipolla, verdure varie ed eventuali disponibili in frigorifero.
Pangrattato, qb per creare un composto malleabile ma non troppo asciutto.
Due uova.
Formaggio grattugiato.
Aglio, prezzemolo, spezie, pepe e sale qb.
Burro e salvia.

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Procedimento

Unire la carne alle verdure bollite e passarle nel tritatutto fino a ottenere un composto grumoso e morbido.
Aggiungere il pangrattato, le uova, il formaggio grattugiato, l’aglio, il prezzemolo, il sale e le spezie.
Formare con il composto delle polpette, e ricoprire la superficie con un leggero strato di pangrattato.
Sciogliere in padella del burro con la salvia, Aggiungere le polpette e lasciarle sfrigolare per qualche minuto su ogni lato, fino a ottenere una superficie dorata.

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