E se Freud incontrasse Dio? “Il visitatore” di Schmitt con Haber e Boni al Donizetti

E’ una notte di aprile del 1938, a Vienna. L’Austria è stata annessa al Terzo Reich e occupata dai nazisti. Sigmund Freud sta aspettando notizie della figlia Anna, portata via dalla Gestapo, quando arriva, inaspettato, un misterioso visitatore. Va in scena al Teatro Donizetti nei giorni in cui ricorre la Giornata della Memoria “Il visitatore” di Eric Emmanuel Schmitt, con Alessio Boni e Alessandro Haber e con la regia di Valerio Binasco (in scena dal 26 gennaio sempre alle 20,30 eccetto la domenica alle 15,30).

“Il visitatore” è un testo molto celebre e molto rappresentato, e quella di Boni e Haber è una messa in scena collaudata che ha raccolto applausi in numerosi teatri italiani. Com’è nello stile di Schmitt, il testo è brillante, leggero nella forma, ma tutt’altro che banale. Gioca con grande astuzia drammaturgica sull’identità di questo “visitatore”. Man mano che il dialogo procede le battute diventano più profonde, toccano la filosofia e la teologia, lasciano grandi interrogativi nell’aria, che toccano la natura dell’uomo, l’esistenza di Dio, il senso ultimo delle cose. Al centro dello spettacolo però, non ci sono in realtà né la fede né il nazismo ma un’indagine intima, personale.

Freud (Haber) è tormentato: ha discusso con la figlia Anna perché lei vuole partire subito, mentre lui è ancora indeciso. Lei viene arrestata. Lui si ritrova solo e arriva all’improvviso dal nulla un giovane dall’aspetto bizzarro (Boni), quasi zingaresco, dal piglio scattante e giocoso, dai movimenti fluidi. I due incominciano a parlare, Freud si sorprende di quante cose lo sconosciuto sappia di lui. Forse è solo un matto fuggito da un manicomio. Ma un matto molto saggio, al punto da far dubitare a lui, che è ateo, che quell’uomo possieda una sapienza divina, che si tratti insomma di Dio in persona. Fra l’altro infatti a un certo punto gli dice: «Ho perduto l’onnipotenza e l’onniscienza nel momento in cui ho reso gli uomini liberi. (…) Per amore. Tu abbassi gli occhi, caro Freud, non ne vuoi sapere di un Dio che ama, vero? Preferisci un Dio che tuona, un Dio corrucciato, vendicativo, con la fronte accigliata e il fulmine tra le mani.. Tutti voi uomini preferite un Padre terribile piuttosto che un Padre amorevole..».Freud vorrebbe “metterlo al suo posto” e trattarlo come un paziente, ma si accorge stavolta di essere sottoposto allo stesso procedimento. Allo spettatore restano tante domande, poste con entusiasmo: nel testo brilla infatti, al di là delle atmosfere cupe del tempo che la pièce attraversa, un’insopprimibile passione per la vita, e la necessità di darle un senso.

Foto di Tommaso Le Pera