Pollice verde nello spazio: il giardinaggio in orbita ha un tocco di poesia

A quanto pare, la zinnia fiorita sulla stazione spaziale Iss e twettata in universovisione dall’astronauta Scott Kelly come “First ever flower grown in space” (“Primo fiore mai cresciuto nello spazio”) non è affatto il primo caso riuscito di giardinaggio in orbita. La Nasa e la Cnn hanno infatti segnalato che già nel 2012 l’astronauta Don Pettit, nel corso di un esperimento personale, fece sbocciare a bordo della Stazione un girasole. Ma anche gli americani arrivano buoni secondi. Sul podio del miglior floricultore galattico (almeno per quello che ci è dato di conoscere) si piazzano infatti i russi. Secondo il sempre ben informato Guinness dei Primati, nel 1982 l’equipaggio della stazione spaziale sovietica Salyut-7 fece crescere e sbocciare delle piante di Arabidopsis thaliana. Sconosciuta al grande pubblico, detta anche “arabetta comune”, è una piccola e umilissima piantina da fiore, che riveste però un grande interesse per gli scienziati perché utilizzata come organismo modello per lo studio della biologia vegetale.
Insomma, dopo lo Sputnik 1, il primo satellite artificiale in orbita intorno alla Terra nella storia lanciato il 4 ottobre 1957, i russi bagnano di nuovo il naso agli statunitensi e si aggiudicano anche il primo fiorellino con ben 34 anni di vantaggio sulla concorrenza. Se tuttavia i russi vincono sulla primogenitura, perdono sulla capacità comunicativa. Pare infatti che in assenza di Istagram per ovvi motivi generazionali, non esista nemmeno una Polaroid comprovante quella prima straordinaria fioritura, mentre l’americano Don Pettit in pieno boom di internet scriveva anche il proprio blog spaziale dal punto di vista delle piante di bordo. E quattro giorni fa Scott Kelly ha invaso i social di immagini di pura poesia, con l’arancione caldo della zinnia tra il blu della Terra (“Planet Earth is blue and there’s nothing I can do”, ciao David) e il nero dello spazio profondo. E poco importa se qualche commento volto alle applicazioni pratiche ha rilevato che “gli astronauti avevano già gustato il loro primo raccolto di lattuga romana” e che l’esperimento “apre la strada ai pomodori”.
Se anche la corolla sbocciata pochi giorni fa mantiene il solo primato di “esperimento formale di crescita di un fiore a bordo della Stazione, avvenuto nell’ambito della ricerca sul comportamento dei vegetali in assenza di peso (programma Veggie)”, resta la lirica della narrazione della crescita. Per cominciare la zinnia ha tempi lunghi ed è particolarmente sensibile all’ambiente e alla luminosità. Poi c’è stato da fronteggiare l’attacco delle muffe, l’eccessiva umidità e l’accartocciamento delle foglie. Elementi questi che mettono in pace con la coscienza più di un pollice nero (quelli bravi sono i verdi) che ha gettato la spugna già sul terrazzino di casa. Infine immaginiamo l’incertezza dei germoglio nel muovere i primi passi in assenza di gravità: dov’è il sole?
La nota che più emoziona è che il fiore cerchi la luce, anche lassù. Uno dei risultati basilari dei tanti esperimenti compiuti nelle serre orbitanti è che la capacità di crescere nella direzione ‘giusta’ non viene meno. Anche nella navicella a migliaia di chilometri, continua ad essere valido il fototropismo (o eliotropismo): i fusti, le foglie, i fiori si orientano secondo la direzione dei raggi luminosi. E non è banale: i fusti si curvano, in modo da disporsi parallelamente alla direzione dei raggi e da avvicinarsi alla sorgente; le foglie si dispongono perpendicolarmente all’incidenza dei raggi, così da godere del massimo di energia luminosa; le radici, al contrario, si comportano in modo esattamente opposto. Basta poco per crescere: terra, acqua e luce. Se poi ci si aggiunge il prendersi cura ecco che anche nelle condizioni più improbabili la vita trova il suo corso. Abbiamo tutti bisogno delle stesse cose. Così, ricordando la stretta somiglianza delle zinnie con le margherite, viene da chiedersi se nelle lunghe notti nello spazio nessun astronauta innamorato l’abbia guardata con struggimento pensando: m’ama o non m’ama?