“Non ci indurre in tentazione”: ma che cosa vuol dire? Il linguaggio che si usa in chiesa è spesso di un altro mondo

Cara suor Chiara ” non ci indurre in tentazione” mi sembra un modo di dire un po’ lontano dai nostri modi abituali di esprimersi. Non ti sembra che questo e altri termini usati nella preghiera e nella liturgia siano un po’ fuori dal tempo? Parlare con Dio significa anche parlargli sinceramente, con il nostro linguaggio. Non ti pare? Giuseppina

Le tue domande, cara Giuseppina, aprono una riflessione sul linguaggio usato oggi per trasmettere la fede e raccontare il Vangelo in modo comprensibile e attuale.

LINGUAGGIO DA ADDETTI AI LAVORI

Sovente nelle nostre liturgie, nelle omelie o nelle catechesi se ne utilizza uno per “addetti ai lavori”, per una cerchia ristretta di credenti, e non si raggiunge la maggioranza del popolo di Dio, il quale attinge nutrimento da una fede semplice e dalla pietà o tradizione popolare. Prova ne è il fatto che la modalità semplice, incarnata, ricca di immagini, ma incisiva e profonda di papa Francesco, e la sua coerenza tra annuncio e testimonianza, raggiungono il cuore di tutti, atei e credenti, vicini e lontani. Questo non deve sminuire l’impegno a tradurre la fede con un linguaggio vicino al nostro tempo, che non equivale ad annacquarne il contenuto, ma a renderlo più comprensibile.

NON SOLO IL COSA SI DICE MA ANCHE IL COME

Inoltre è necessario porre attenzione non solo al messaggio, ma anche alla forma e alla modalità per annunciarlo, per non rischiare di parlare a vuoto e non raggiungere i cuori delle persone. Mi sembra poi sia opportuno fare anche una distinzione tra preghiera personale e comunitaria. Nella preghiera personale usiamo parole, immagini, che esprimono la nostra sensibilità, sentimenti, emozioni, richieste, che attingono alla nostra esperienza di vita e di credenti e a quanto abbiamo interiorizzato della nostra formazione biblica e catechetica; essa ci introduce nel mistero della relazione con Dio che è fatta di parole, ma anche di silenzi, di sguardi, che non si può né esaurire, né contenere in forme troppo rigide, poiché è guidata e ispirata dallo Spirito. La preghiera però si deve radicare anche nell’esperienza credente di un popolo, quale è la Chiesa, al quale Dio ha parlato in modi e tempi diversi: ci inseriamo nella scia millenaria di uomini e donne che hanno cercato il Signore, a Lui hanno innalzato la loro supplica e le loro richieste, e a Lui hanno elevato lo sguardo e proclamato la lode.

LA BELLEZZA DEI SALMI. DA ASSOPORARE

Pensiamo alla bellezza e ricchezza dei salmi che raccontano l’esperienza di Israele, e quindi di ogni credente, e dei quali Gesù si e nutrito. Inseriti in questa tradizione lontana dalla nostra, dobbiamo continuamente fare uno sforzo di comprensione e approfondimento, per cogliere oggi il significato spirituale di quelle parole che hanno formato generazioni di credenti. Siamo chiamati a rivisitare parole che, a volte, sanno un po’ di stantio nella forma, ma non nel contenuto, ad uscire dalla superficialità del già noto, di ciò che è abitudinario, per riscoprire con umiltà e vedere con occhi e cuore nuovi, il significato di parole ripetute, perché scenda nel cuore e trasformi la vita. Occorre entrare in un atteggiamento contemplativo per assaporare e gustare un linguaggio che ha bisogno di essere interiorizzato nell’intimo. Non possiamo comunque tacere lo sforzo di traduzione e attualizzazione delle nuove edizioni della Bibbia e l’impegno a porsi in ascolto del popolo di Dio per scoprire quello di cui i fedeli hanno bisogno di sentire, perché l’annuncio sia efficace.

IL MONDO DI CHI PREGA. DA CAPIRE

Un annunciatore del Vangelo deve saper scoprire le aspirazioni, le ricchezze e i limiti, i modi di pregare, di amare, di considerare la vita e il mondo che contrassegnano un determinato ambito umano, prestando attenzione alle persone alle quali si rivolge, collegando la parola in una situazione umana concreta, perché si possa leggere in un avvenimento, il messaggio di Dio. Esso si pone come mediatore tra la Parola e l’uomo concreto a cui è rivolta. Allora anche la citazione che tu proponevi a esempio, che è già stata tradotta in maniera più attuale con “non abbandonarci nella tentazione”, va donata come annuncio della vicinanza di Dio che sostiene l’uomo nei momenti di prova e di tentazioni, che non sono superati, ma rimangono parte integrante del cammino di sequela di ogni discepolo di Cristo che vuole vivere con coerenza il Vangelo. Essa è più vicina all’intenzione originaria dell’evangelista, ma non ne esaurisce la ricchezza spirituale che racchiude. Siamo invitati a dare un significato nuovo a ciò che fa parte della tradizione, a essere quegli scribi divenuti discepoli del regno dei cieli, che estraggono dal tesoro della parola e fede, cose nuove e cose antiche, per vivere in pienezza il dono ricevuto.