Non basta rottamare i vecchi partiti. Bisogna creare istituzioni nuove. Riflessioni a margine del libro di Pagnoncelli

Foto: Matteo Renzi, il rottamatore

La lettura del libro di Nando Pagnoncelli, uscito nel novembre scorso per le Edizioni Dehoniane Bologna, intitolato “Le mutazioni del signor Rossi”, provoca un’oscillazione di reazioni tra pessimismo, desperatio veri et boni e inquietudini.

IL METALMECCANICO BERGAMASCO CHE SI ISCRIVE ALLA CGIL, VOTA LEGA E VA A MESSA

Il libro fa un elenco ragionato delle contraddizioni dell’italiano medio, che è un personaggio di costruzione statistica, ma nel quale ciascuno di noi come individuo si può ritrovare. Rinviando alla lettura del libro, restano le domande: ce la farà il signor Rossi – questo il nome dell’italiano medio nato dalla matita di Bruno Bozzetto – a scendere qualche gradino della scala dell’ “indice di ignoranza”, in cima alla quale ingloriosamente ora si trova? E a smetterla di chiedere a gran voce le riforme, ma solo dell’orto altrui? E a impegnarsi nel volontariato, ma non a pagare le tasse? E a volere una nuova politica, ma continuare ad opporsi alle riforme istituzionali? E a lamentarsi per l’aumento della spesa pubblica, ma a chiedere assistenza pubblica dopo il fallimento dei propri privatissimi investimenti? E il mitico metalmeccanico bergamasco continuerà a iscriversi alla Fiom, a votare Lega, a frequentare la messa della domenica?

L’ITALIA È STATA FATTA. RESTANO DA FARE GLI ITALIANI

Tutti questi interrogativi si possono sintetizzare in uno solo: fatta l’Italia nel 1861, riusciranno a farsi gli Italiani nel 2016? “Farsi”, perché a “fare gli Italiani” finora molti ci hanno provato, ma nessuno ha avuto successo. Si sono sempre contrapposte due teorie e due pratiche, al riguardo. La prima liberal-giacobina, da Cavour, a Crispi, a Giolitti, ha tentato di piegare gli Italiani dall’alto, usando scarsamente l’egemonia, abusando della coercizione statale. Anche Mussolini, sorelian-totalitario, ha provato a forgiare una nuova razza guerriera. Come quelle dei cani, anche le gambe degli Italiani dovevano essere raddrizzate. La seconda posizione è stata quella della Repubblica del dopoguerra democristiano: rappresentare gli Italiani come sono. Gli Italiani non sono da fare, ci sono già, sono questi qui: individualismo, appartenenza di famiglia e di clan, nessuna etica pubblica, evasione fiscale, “brava gente”, ma senza patria, tenuta insieme dal sangue versato della Prima guerra mondiale e della Seconda, ma con insorgenti tentazioni di guerra civile, di faziosità esasperata, di tifoseria politica, spesso coperta dall’ideologia dello scontro globale di civiltà tra Est e Ovest, tra libertà e comunismo. Tutto ciò ancora oggi. E, infatti, questo continua ad emergere dal libro di Pagnoncelli. Possiamo rassegnarci all’idea che la storia degli Italiani sia mossa da un’oscura coazione a riprodurre caratteri antropologici senza tempo, prodotti dalla legge della lunga durata? Potrà questa Italia stare a galla nel mare della globalizzazione? Costruire e condividere un senso di identità nazionale e di appartenenza sarà ancora possibile, se gli Stati e le loro lingue si stanno perdendo? Alain Touraine prevede che nel giro di trent’anni l’Italiano, il Francese, il Tedesco diventeranno lingue tali da essere inutilizzabili per scrivere un libro: “scrivere un libro in Italiano oggi è tempo perso”.

IL MITO DELLA NUOVA CLASSE DIRIGENTE: DA BERLUSCONI, A RENZI, AL M5S

Una risposta classica a queste domande ripropone un mito di lungo corso: la nuova classe dirigente. Ogni nuovo ciclo politico in Italia ha invocato, promosso, promesso “una nuova classe dirigente”. L’ultimo episodio della storia di questo mito è rappresentato dalla cultura politica del M5S. Il penultimo è la “rottamazione” di Renzi. Il terz’ultimo è il berlusconismo. L’idea unificante è quella di una classe nuova, giovane, altra rispetto all’establishment, che cambia la morale del Paese e fa trionfare verità e giustizia.

MEMORIA CORTA E INCAPACITÀ DI VEDERE

In questo approccio ci sono una dimenticanza e una cecità. La dimenticanza consiste nel non vedere il punto di origine del cambiamento: il cuore, in senso biblico, della persona. Là dove libertà e verità si intrecciano, nel profondo della persona. Qui si devono misurare le agenzie educative che si danno come missione quella di formare l’uomo. La politica non è in grado di cambiare il cuore dell’uomo. La cecità consiste nel non vedere che soltanto nuove istituzioni sono in grado di selezionare i comportamenti migliori e di retroagire rafforzandoli. Rottamare la vecchia politica e i politici implica rottamare vecchie istituzioni, che rispecchiano vecchie abitudini e comportamenti, e costruirne di nuove. Occorre dire che Matteo Renzi ha colto questo necessario passaggio. Solo se una nuova politica si deposita in nuove istituzioni, essa è in grado di costruire i binari di egemonia/coercizione, entro i quali si edifichi una nuova etica pubblica. Dal mondo latino-mediterraneo si leva spesso da minoranze intellettuali la nostalgia-richiamo al calvinismo quale fonte di un’etica pubblica rigorosa, severa, intransigente. Si deve solo osservare che questa etica protestante – l’etica della responsabilità – è divenuta etica pubblica sono trasformandosi in diritto, in legge, in istituzioni. La politica deve costruire istituzioni e amministrazione che rafforzino la responsabilità dei cittadini, tali che non fungano da alibi per la loro pigra delega ai politici, dei quali poi incessantemente si lamentano.