“La fiamma del peccato”, “Peccato che sia una canaglia”, “Il peccato di Lady Considine”, “Peccati di gioventù”, “L’indiscreto fascino del peccato”, “Nel gorgo del peccato”, “Storia di un peccato”, “La ragazza del peccato”: sono tanti i titoli di film che raccontano storie o alludono a qualche forma di “peccato” ovvero, dal dizionario: “Trasgressione volontaria di una legge considerata di origine divina”. Ma non sono molti quelli che hanno veramente ragionato intorno al concetto di “colpa” o che hanno cercato – e si capisce dato che è un esercizio piuttosto difficile – di rappresentarla, di metterla in scena. Certo andrebbero spesi immediatamente i nomi “classici” che si utilizzano in queste occasioni.
Parliamo di registi come Robert Bresson, Carl Theodor Dreyer o Yasujro Ozu. Ma in questo caso, come si evince, infatti, dal titolo del saggio di Paul Schroeder che li accomuna “Il trascendente nel cinema”, si tratta di registi della spiritualità. E allora dove lasciamo un regista come Ingmar Bergman, un altro che ha ragionato molto sui temi della spiritualità, per tacere di una personalità
complessa e sfaccettata come quella di Pier Paolo Pasolini. Ma c’è stato un regista che, più di altri, ha scavato profondamente all’interno di questi temi: il polacco Krzysztof Kieslowski (1941 – 1996). Meraviglioso documentarista,uscito dalla prestigiosa “scuola di Lodz”, comincia a far parlare di sé quando passa al lungometraggio mettendosi in luce, all’inizio degli anni Ottanta, con due opere come “Destino cieco” del 1980 e “Senza fine” (Bez konca, 1985). Ma è nel 1988, quando esce “Il Decalogo” che la sua popolarità si consolida a livello mondiale. Si tratta di dieci film, ancora una volta dei medio metraggi della durata di 55, 60 minuti, prodotti per la televisione polacca, dedicati ognuno ad uno dei dieci Comandamenti. Di due degli episodi – “Decalogo 5” e “Decalogo 6”, il regista ha realizzato una versione lunga appositamente per le sale cinematografiche: “Breve film sull’uccidere” e “Breve film sull’amore” distribuito impropriamente in Italia con il titolo “Non desiderare la donna d’altri”. Quello del “Decalogo” kieslowskiano è un ciclo di film che andrebbe sicuramente riscoperto proprio perché come scriveva “Famiglia cristiana”: «Kieslowski realizza un Decalogo tutto suo: un unico film composto da dieci film, ognuno per quanti sono i Comandamenti; un confronto fra la parola di Dio e quella dell’uomo contemporaneo, che traduce in dubbi e interrogativi l’acuto malessere della modernità, scettica e spesso del tutto insensibile ai richiami della legge mosaica». E ancora: «Un film in dieci episodi o capitoli, dunque, che si misura con il peccato per verificare se il venir meno dell’uomo al patto con Dio abbia ancora senso nel mondo del dopo Auschwitz e del dopo Hiroshima». In tutti e dieci gli episodi, il regista e il suo sceneggiatore, già avvocato di Solidarnosc, Krzysztof Piesiewicz, utilizzano un meccanismo narrativo «basato sul raffronto fra la tesi, il comandamento in questione, e l’antitesi, il mancato rispetto del comandamento, perché lo spettatore possa trarre poi le sue conclusioni affidandole al giudizio della ragione e della coscienza». Rileggendo ogni episodio si scoprirebbero anche delle assonanze, delle analogie tra l’uno e l’altro (la presenza fissa di un testimone muto), la grandezza di saper affrontare (e raccontare), temi alti con una lucida razionalità quasi scientifica: senza (pre) giudizi, da grande conoscitore dell’animo umano. Kieslowski, dunque: certamente. Ma dove lasciamo, se parliamo di “sensi di colpa”, un regista come Alfred Hitchcock che, pur essendo inglese era cattolico? E, a proposito di registi cattolici, ci piace concludere questo brevissimo excursus con un altro regista che di tormenti se ne intende abbastanza: Martin Scorsese che, invece che per il suo tormentato Gesù di “L’ultima tentazione di Cristo”, vorremmo ricordare per uno dei suoi primi lavori: “Mean Streets – Domenica in chiesa, lunedì all’inferno”. Parzialmente autobiografico, il film descrive “antropologicamente”, la vita nel quartiere newyorkese di Little Italy dove il piccolo futuro regista è cresciuto, mettendo in scena i tormenti di un piccolo malavitoso locale diviso tra la fedeltà alla “famiglia” e la sua profonda fede religiosa.