Peccati 2.0: accanto ai “classici” ecco quelli “sociali”. Ai confessori serve un corso di aggiornamento

La foto di apertura del post è di ©Gian Vittorio Frau, ritrae il confessionale del Fantoni nella basilica di Santa Maria Maggiore ed è stata autorizzata dalla Fondazione Mia esclusivamente per la pubblicazione sul settimanale online Santalessandro.org. 

In Abruzzo un’iniziativa originale: un corso di aggiornamento per 50 confessori guidato da monsignor Mauro Cozzoli, su peccati classici, peccati sociali e peccati 2.0. «C’è un peccato globale che è la mancanza di senso della legalità», spiega il teologo, che tra i nuovi peccati «da acquisire alla coscienza» cita in primo luogo l’inquinamento ambientale. «È arrivato il tempo di essere responsabili per il mondo», avverte sulla scorta della “Laudato si'”. Oggi, però, il peccato corre anche in Rete, e dobbiamo sviluppare gli anticorpi contro il “male” informatico. A scuola anche alcuni Missionari della Misericordia che tra pochi giorni riceveranno il mandato dal Papa, all’inizio della Quaresima.

Il Giubileo è un Anno straordinario anche per il novero dei peccati. Nella “società liquida”, infatti, la lista si allunga sempre di più. E così accade che accanto a quelli “classici”, da sempre gravi per la morale cristiana, reclamano ormai sempre più posto i nuovi “peccati sociali” come criminalità, corruzione, manipolazioni genetiche, esperimenti sulla persona, inquinamento ambientale, frode fiscale, sperequazioni sociali, ricchezza eccessiva. Ma anche i nuovi “peccati informatici” nell’epoca dei social media, il cui elenco comprende gli abusi di chi usa le chat-line in maniera ingannevole o di chi approfitta di Facebook o Twitter per commettere veri e propri reati di diffamazione o di cyberstalking. Senza contare le “fake mail” (email anomine o con indirizzo falsificato), la navigazione nei siti pornografici, la pirateria informatica e gli hacker che violano privacy e sicurezza. Se ne è parlato nei giorni scorsi al Santuario San Gabriele di Teramo. A guidare il corso, rivolto a una cinquantina di confessori, sia religiosi che sacerdoti diocesani, provenienti da varie parti d’Italia, è stato monsignor Mauro Cozzoli, docente di teologia morale alla Pontificia Università Lateranense. Tra i suoi “alunni” figurano anche alcuni degli oltre mille Missionari della Misericordia che riceveranno il mandato dal Papa il 10 febbraio, mercoledì delle Ceneri.

Cosa c’è alla radice dei nuovi “peccati sociali”? Monsignor Cozzoli, da fine teologo avvezzo a indagare nelle pieghe – irriducibilmente misteriose perfino quando appaiono sondabili – dell’animo umano, non ha dubbi: «C’è un peccato di carattere globale, che è la mancanza di senso della legalità». «Sotto il profilo sociale – spiega – si tratta di un peccato un po’ globale, perché significa non avere il senso della legge e quindi del bene comune». «La legge giusta di una società è sempre attenta al bene comune», ricorda il teologo parlando del “dna” peculiare di qualsiasi codice di norme che si propongano di regolare la convivenza tra gli uomini. Per questo, «non coltivare il senso della legalità è un peccato di omissione, prima ancora che un peccato di azione».
All’origine di ogni azione illegale, in altre parole, c’è sempre questa sorta di mancanza di coscienza individuale e collettiva. «Dove c’è la società, c’è la legge: non c’è società senza la legge», ma il vivere civile è minacciato «quando non sentiamo il senso della legalità e non avvertiamo l’obbligo morale – non penale – della legge». Perché l’obbligo morale «è un dovere in coscienza», mentre l’obbligo penale «è legato alle pene che il legislatore ammette per i trasgressori».

Tra i peccati sociali finora inediti e dei quali siamo chiamati a prendere coscienza, Cozzoli mette in primo piano l’inquinamento ambientale, di cui il Papa parla diffusamente nella “Laudato si’”, auspicando per invertirne la rotta una “ecologia umana”.

«L’inquinamento ambientale – spiega il teologo – è un peccato che dobbiamo acquisire alla coscienza: per molto tempo non abbiamo parlato di questo peccato, semplicemente perché non abbiamo mai avuto uno sfruttamento dell’ambiente e un inquinamento del nostro habitat ai livelli di abuso e di inquinamento selvaggio che purtroppo e dolorosamente registriamo oggi».

«La responsabilità ecologica non emerge facilmente alla coscienza, e noi non l’abbiamo messa a tema nella nostra catechesi morale-, il mea culpa: abbiamo un po’ trascurato le relazioni con le cose, con l’ambiente che ci circonda». La necessità di salvaguardare l’ambiente è allora «un impegno da acquisire tra i nostri obblighi sociali: non c’è realtà sociale senza un habitat di vita in cui la società degli uomini dimora. È arrivato il tempo di essere responsabili per il mondo, e di fare di questa responsabilità un oggetto esplicito di catechesi e di predicazione, anche alla luce del mandato del Papa nella “Laudato si’”». “Tutto è connesso”, ci ricorda proprio Francesco nella sua enciclica. E proprio nell’essere “in rete”, o nella Rete stessa, può nascondersi a volte una esplicita o subdola tentazione di peccato. «Il peccato, in negativo e in positivo, è legato al fattore male, alla presenza, all’azione corrosiva di quest’ultimo», argomenta mons. Cozzoli: «Questo male non è meno presente che nel passato, anzi: tutta la modernità ha cercato il confronto con il male e attraverso tutti i progressi della scienza e della tecnica siamo diventati paradossalmente molto fragili rispetto al male fisico e molto influenzabili riguardo al male morale». L’analisi del teologo è chirurgica: «Il male, nonostante i progressi compiuti e la fine delle ideologie, per certi aspetti è ancora più duro da fronteggiare e se possibile estirpare, e per di più oggi si globalizza perché viaggia anche attraverso le nuove tecnologie, pur ricche per molti altri aspetti di opportunità e vantaggi finora inediti. Il male si è messo in rete e la coscienza è chiamata a sviluppare gli anticorpi di fronte al male informatico. È il peccato che corre in rete, e che noi continuiamo a far correre».