Simone Weil e la tragedia incompiuta «Venezia salva» tradotta in film: bellezza, potere, commozione e pietà

Simone Adolphine Weil (1909-1943) fu operaia, sindacalista, per un brevissimo periodo volontaria in una colonna anarchica durante la guerra civile di Spagna; e ancora, studiò la civiltà occitanica del Sud della Francia, meditò sui Vangeli e sulla Bhagavad-Gita, tradusse i classici greci. Questa sera, venerdì 19 febbraio alle 21, al Teatro Sociale di Bergamo Alta, andrà in scena lo spettacolo di César Brie «La volontà. Frammenti per Simone Weil»; a lato di questo evento la Fondazione Serughetti-La Porta, l’Assessorato comunale alla Cultura e l’Università di Bergamo hanno promosso un ciclo di conferenze a ingresso libero dedicato all’autrice di Lettera a un religioso (il programma completo dell’iniziativa può essere scaricato dalla pagina Internet www.laportabergamo.it).

Ma appunto, come conviene accostarsi oggigiorno alla figura della Weil? Quali insegnamenti si possono ricavare dai suoi scritti, in una situazione storica evidentemente molto mutata rispetto a quella in cui lei si trovò a vivere? A noi pare, intanto, che occorra resistere alla tentazione di cooptare tra i Dottori della Chiesa una pensatrice intenzionata a mantenersi «sulla soglia» del cristianesimo istituzionale (non è affatto certo – come asseriscono alcune fonti – che la Weil, ricoverata nel 1943 in un sanatorio del Kent, avesse chiesto e ricevuto il battesimo in articulo mortis). Ci pare invece condivisibile quanto scrivono gli studiosi Domenico Canciani e Maria Antonietta Vito, ovvero che in Simone Weil «tutto, comprese le incoerenze, si tiene, nella sua vita e nella sua opera».

Proprio da questo punto di vista – ponendosi in ascolto delle domande che le pagine weiliane sollevano, non pretendendo di spremerne certezze -, è interessante l’iniziativa di Castelvecchi Editore, che recentemente ha pubblicato in cofanetto il testo dalla tragedia incompiuta Venezia salva, in una nuova traduzione di Canciani e della Vito, dopo quella del 1963 della poetessa Cristina Campo; al libro (pp. 126, € 29,00) si accompagna il DVD dell’omonimo film di Serena Nono, interpretato anche da un gruppo di persone senza fissa dimora accolte nella Casa dell’Ospitalità di Venezia e Mestre.

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«Dovete considerare questa città, e tutti quelli che ci vivono, come un giocattolo che si può scaraventare qua e là, che si può fare a pezzi. Avete capito che questo è lo stato d’animo dei mercenari e anche degli ufficiali che stanno dalla nostra parte. Noi, beninteso, noi siamo superiori a tutto questo; noi siamo quelli che fanno la storia».

Nell’estate del 1940, mentre l’esercito tedesco, dopo aver occupato la Francia, pare ormai prossimo a sbarcare sulle coste dell’Inghilterra, Simone Weil redige la prima stesura di quest’opera teatrale. In precedenza già diversi autori – da Saint-Réal a Hugo von Hofmannstahl – si erano ispirati all’episodio storico di una congiura ordita nel 1618 dagli spagnoli per impadronirsi di Venezia, mettendola a ferro e fuoco. Nel testo della Weil la vicenda è riletta in una luce metafisica: il gentiluomo provenzale Renaud – sono sue le battute sopra riportate – personifica il delirio della «forza», una tendenza che porta a concepire i rapporti tra gli esseri umani come scontri tra corpi massivi, destinati a stritolare per non essere stritolati. Secondo la Weil, l’istinto della sopraffazione innerverebbe l’intero corso della storia occidentale; significativamente, nei suoi testi, lei cita più volte una frase dalla Guerra del Peloponneso di Tucidide, relativa all’episodio del massacro degli abitanti di Milo: «Per una necessità della natura ogni essere, chiunque egli sia, esercita, per quanto può, tutto il potere di cui dispone».

In Venezia salva, tuttavia, un gesto viene a interrompere l’ordinario regime della violenza, dimostrando che la pietà, come frutto di un amore soprannaturale, è pure possibile: un altro francese, Jaffier, commosso dalla bellezza della città lagunare, sventa la congiura e paga poi con la morte questa sua decisione.

 

 

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Il film Venezia salva rientra in un percorso più ampio che la regista Serena Nono ha intrapreso da tempo, in collaborazione con la Casa dell’Ospitalità di Venezia e Mestre.

 

«Nel 2006 – spiega – girai un documentario su questa realtà di accoglienza attiva nella mia città: si intitolava Ospiti. Lo spunto mi era venuto dal fatto che già frequentavo la Casa per un laboratorio artistico in cui si insegnava disegno, pittura e scultura. Nel 2009 ho realizzato Via della croce, un film più articolato, nel senso che alle parti documentaristiche – quelle in cui alcuni “senza fissa dimora” raccontavano i loro percorsi di vita – si alternavano scene della passione di Cristo, con tableaux vivants ispirati a celebri quadri».

«Come terza tappa di questo itinerario – prosegue Serena Nono -, nel 2013 ho diretto Venezia salva, liberamente tratto dalla tragedia di Simone Weil. Per questo progetto ho potuto contare su un contributo di Rai Cinema e ho avuto al mio fianco una piccola troupe; nel cast figuravano anche persone che non erano alloggiate nella Casa dell’Ospitalità e in più, come unico attore professionista, David Riondino, che con la sua società di produzione ha grandemente contribuito alla realizzazione del film. Infine, lo scorso anno, ho girato L’amico: i protagonisti sono due conoscenti di una certa età che sognano di intraprendere una remunerativa carriera teatrale portando sulla scena Aspettando Godot di Samuel Beckett». Tornando a Venezia salva – le chiediamo –: tra innumerevoli testi teatrali ambientati nella Laguna, che cosa l’ha portata a scegliere quello della Weil? «Fin dagli anni della mia giovinezza la lettura delle opere di Simone Weil ha lasciato in me una forte impronta. Di Venezia salva, in particolare, mi affascinava non solo l’ambientazione, ma anche altri aspetti: in primo luogo, vi è il tema della commozione indotta dalla bellezza, intesa non solo in senso monumentale-architettonico, ma come espressione di un tessuto sociale, della presenza attiva degli esseri umani in un luogo. Resosi conto del rischio che la bellezza di Venezia scompaia, Jaffier diviene capace di un gesto di pietà, con cui ferma un processo di distruzione. Un secondo tema è quello della strutturale ambivalenza delle nostre scelte: anche una decisione nobile, come quella dello stesso Jaffier, può avere conseguenze terribili, per chi la adotta e per altri. Detto diversamente: nessuno, nel grande teatro della storia, può illudersi di essere totalmente innocente, di potersi nettamente collocare sul versante della ragione piuttosto che su quello del torto. Mi pare questa una visione assai realistica, benché inquietante, della condizione umana».

Per maggiori informazioni sulla filmografia di Serena Nono:

 

www.viadellacroce.org

 

www.veneziasalva.it

 

www.serenanono.com

 

Una copia del documentario Ospiti può essere richiesta contattando la Casa dell’Ospitalità di Venezia e Mestre (tel. 041.958409, www.casaospitalita.it ).