Boltiere: gli adolescenti sulle tracce del buon samaritano. Accanto ai poveri, ai migranti, ai bambini malati

Provocati dalle parole del Vescovo Francesco e pronti a rispondere all’invito del loro curato, gli adolescenti dell’oratorio di Boltiere hanno scelto di sperimentarsi “adolescenti capaci di carità”. Don Luca, curato dell’oratorio di Boltiere, insieme al gruppo animatori adolescenti, ha proposto ai ragazzi dalla 1a alla 4a superiore di seguire la testimonianza del Buon Samaritano, che accompagna questo anno giubilare della misericordia, e vivere la risposta che il vescovo Francesco offre alla domanda “Chi è il cristiano?”, cioè “Il cristiano è colui che ama”. Durante la Quaresima, quindi, abbandonando il consueto incontro del venerdì sera, i ragazzi si fanno testimoni di carità presso alcune strutture disposte ad accoglierli: Caritas parrocchiale di Boltiere, Cooperativa Ruah di Treviglio, Casa Raphael di Redona, ospedale pediatrico di Bosisio – Parini. Prima di intraprendere l’esperienza, ai ragazzi e ai loro genitori sono state proposte due serate in cui conoscere le realtà che avrebbero incontrato, in cui poter ascoltare e confrontarsi con gli operatori, scoprendo che cosa avrebbero fatto concretamente durante il servizio. Le strutture sono state scelte in modo da offrire ad ognuno dei ragazzi la possibilità di avvicinarsi e incontrare realtà di sofferenza e disagio da cui si sente più provocato e attratto. La Caritas parrocchiale, presso la quale compito dei ragazzi è quello di aiutare nella preparazione dei pacchi alimentari, riordino guardaroba e, per i più grandi, partecipazione ai colloqui con le famiglie bisognose al Centro di Primo Ascolto, permette ai ragazzi di prendere coscienza dell’esistenza della povertà e del disagio all’interno della parrocchia, smentendo l’idea che il povero è lontano o straniero. La Cooperativa Ruah di Treviglio coinvolge gli adolescenti nella realizzazione di un corso di italiano per i ragazzi stranieri ospitati in struttura e, in questo modo, favorisce l’incontro di quasi coetanei diversi solo per essere nati in due parti del mondo differenti. Casa Raphael di Redona, struttura che accoglie persone affette da AIDS, alcune delle quali in gravi condizioni cliniche, si apre all’accoglienza dei ragazzi perché, oltre ai momenti di aggregazione tra ospiti e giovani volontari, si mantenga vivo l’interesse per un problema socio – sanitario tutt’altro che scomparso nella realtà bergamasca. Infine, l’ospedale pediatrico di Bosisio – Parini presso il quale i ragazzi possono incontrare bambini affetti da diverse patologie e coinvolgerli in attività ludico – ricreative. I ragazzi hanno avuto la possibilità di scegliere quale delle attività intraprendere, tenendo conto non soltanto dell’interesse e della motivazione personale ma anche del tempo da poter dedicare. E, a quasi metà percorso, ecco qualche opinione. Giorgia, 1a superiore: appena arrivati all’ospedale ci siam travestiti e abbiamo rappresentato uno spettacolo teatrale, che, in realtà, era un gioco al termine del quale indovinare la trama. Poi ci siamo buttati nei balli, insieme a loro, che erano tutti molto felici. Quello che mi porto a casa da questo pomeriggio insieme sono i grazie e i loro occhi sorridenti e, soprattutto, il ricordo di un bambino che, dopo aver ballato con me tutto il tempo, ha voluto ringraziarmi abbracciandomi. Manuele, 4a superiore: ho scelto di incontrare i ragazzi della Ruah per conoscere di persona la storia di chi rischia la vita attraversando il mare, con la speranza di un futuro migliore. La cosa più bella di questo primo incontro è stata l’accoglienza, nonostante non sapessero chi fossimo. Ci siamo divertiti tantissimo, nessuna fatica o difficoltà, perché sono tutte bravissime persone. Serena, animatrice adolescenti, sottolinea la positività dell’incontro all’ospedale di Bosisio per entrambe le parti, in particolare si sofferma sull’attenzione che alcuni adolescenti hanno avuto nei confronti dei piccoli ospiti, “sono rimasta colpita da come alcune ragazzi hanno cercato personalmente alcuni bambini, prendendoli per mano per coinvolgerli nelle danze e farli sentire parte della nostra storia”.