I preti in tenda: una provocazione generosa. Il vero rischio per le comunità cristiane è l’insignificanza

Continua il dibattito sul gesto compiuto dai preti di Ambivere, Mapello e Valtrighe. Vi invitiamo a leggere anche la loro lettera e l’editoriale che abbiamo pubblicato la settimana scorsa.

«In Quaresima noi sacerdoti abiteremo una tenda allestita sul sagrato della Chiesa di Ambivere. Questa decisione nasce dalla presa di coscienza che il prezzo del nostro benessere è la riduzione in miseria di altri esseri umani. Non siamo più disposti ad accettare un sistema del genere. Per questo vogliamo lasciare simbolicamente le nostre case. Si tratta di un segno temporaneo, fino a Pasqua. Poi si vedrà. Intanto con questo gesto vogliamo dire che riconosciamo le nostre responsabilità di fronte alla miseria del mondo. E non vogliamo abituarci a questo stato di cose…».
Leggo e rileggo queste parole, scritte dai preti di Ambivere, Mapello e Valtrighe. Penso a quello che è accaduto un anno fa, quando nel mio paese, Torre Boldone, è “scoppiato” il caso di una ragazza minorenne nigeriana accolta in una piccola comunità (gestita dalle suore adoratrici) e osteggiata dall’amministrazione comunale. In quel caso, la comunità cristiana era divisa e il parroco ha preferito scegliere il silenzio per evitare ulteriori divisioni. Decisione comprensibile, ma per me non condivisibile. In alcuni casi si deve scegliere: è più importante tenere unità una comunità o mettersi dalla parte degli ultimi? Io penso che una comunità cristiana, se non sa decidere da che parte stare tra l’appoggio al potere e la difesa del povero, debba essere messa in crisi, stimolata a riflettere e provocata ad agire.
Don Luigi Ciotti, l’ultima volta che ha parlato a Bergamo, ha spiegato che «la giustizia è il sentirsi offesi personalmente quando un altro subisce un torto». Di fronte al male è doveroso indignarsi, poiché la dignità di ogni persona è un bene non negoziabile.
Nella Bibbia e nei Vangeli possiamo trovare con facilità episodi in cui viene privilegiata la scelta degli ultimi anche a discapito dell’armonia comunitaria. Certo, la scelta dei quattro sacerdoti può essere criticata, come è stato fatto, sia per l’elemento di «spettacolarizzazione» che porta con sé sia per l’apparente etichetta ecclesiastica o addirittura clericale. Non dimentichiamo che siamo in una società dell’immagine e nulla sfugge al circo mediatico, ma oggi il vero rischio è l’insignificanza, l’appiattimento, l’omologazione culturale che Pier Paolo Pasolini aveva preannunciato.
Ben venga quindi questa generosa provocazione, che ci interpella, che ci costringe ad interrogarci sulle nostre incoerenze, che ci chiama a diventare migliori, che ci fa gustare il sapore antico della profezia troppo spesso sepolta sotto la normalità del tempo ordinario.
Sono convinto che nella vita tutti abbiamo bisogno di maestri e di guide, che sappiano segnalarci possibili sentieri anche impervi, che tocca a noi percorrere, ma che avremmo rischiato di non trovare mai senza quelle indicazioni.
Un grazie ai quattro cittadini, cristiani, preti che hanno scelto una tenda per ricordarci la nostra appartenenza alla comune umanità, che significa anche inquietudine, fatica e fragilità. Nessuno pretende che abbiano in tasca la verità, ma certo in quella tenda hanno acceso una piccola luce, che può aiutare ad orientare i nostri passi, per andare oltre la tenda, temporanea come tutte le tende, come le nostre vite.