A scuola di Islam. Per camminare verso una convivialità delle differenze

Cento persone, pigiate all’inverosimile in una grande sala, che per tre sere – attraverso la voce di un cristiano, docente universitario, di un mussulmano e di una mussulmana – hanno cercato di comprendere l’Islam e il suo testo sacro. Le richieste di iscrizioni all’itinerario – a pagamento – erano più del doppio. È successo a Bergamo, le scorse settimane. Apparentemente una non notizia che però ha la forza di consegnare, ancora una volta, un’immagine diversa dei bergamaschi, così lontana dagli stereotipi rilanciati dai media e dalla rozzezza di una certa propaganda. Uomini e donne, tra questi molti giovani, hanno sentito l’esigenza di capire un mondo, di aprire varchi per andare oltre l’ovvio. Per assumere la grande sfida che – senza vie di fuga – oggi abbiamo di fronte: la sfida del dialogo. Per evitare di leggere le differenze anche profonde come scontro tra il bene e il male, rifuggire l’identificazione tra un Islam astratto e l’incarnazione del male, rifiutarsi di demonizzare l’altro.

UN ISLAM PLURALE

Qualcuno ha scritto che per comprendere la realtà dell’Islam in Italia non serve il cannocchiale. Serve, piuttosto, una lente di ingrandimento in grado di intercettare la molteplicità di gruppi, associazioni, di questo variegato mondo. Molto spesso, da noi, l’Islam viene invece percepito – e presentato – come qualcosa di minaccioso e monolitico, dominato da una visione dogmatica e radicale. In realtà, il cosiddetto “mondo musulmano” è estremamente vario e diversificato, tanto che, sociologicamente, bisognerebbe parlare di islam e di mondi musulmani al plurale. Anche dal punto di vista politico-religioso i movimenti del radicalismo e del fondamentalismo islamico rappresentano un fenomeno recente nella storia plurisecolare dell’Islam, e il cui consenso popolare non deve essere sovrastimato. L’Islam come fede e i musulmani come persone sono delle realtà che si coniugano al plurale. L’ultima delle tre grandi religioni rivelate nasce con una identità plurale nel momento in cui stabilisce che il rapporto tra il credente e Dio è un rapporto diretto e senza intermediari. Più che di Islam al singolare sarebbe, dunque, corretto parlare di Islam al plurale, allo stesso modo con cui, quando si parla di cristianesimo, si distingue tra cattolicesimo e protestantesimo, tra il conservatore e il riformista o anche tra il cattolicesimo in Italia e il cattolicesimo in Africa. Quello che è certo è che in Italia vivono oggi circa più di un milione e mezzo di fedeli musulmani (e ventimila di questi sono italiani convertiti). Si tratta di una svolta storica: l’Islam è la seconda religione del nostro Paese (e del continente europeo). Un’identità culturale, una religione sempre percepita come totalmente altra, lontana, vive oggi, letteralmente con-vive, sul medesimo territorio del suo antico nemico. Due mondi culturali che si sono per lunghi secoli combattuti, e che, pur rispecchiandosi l’uno nell’altro, si concepivano come impermeabili, autosufficienti, comunque autonomi, separati, scoprono di non esserlo più, di non esserlo per niente. Abitano, letteralmente, uno nell’altro, coabitano. Eppure dell’Islam e dei musulmani – oltre gli stereotipi – non si conosce quasi nulla e quel poco che si dice è, il più delle volte, sotto il segno della superficialità.

OLTRE LA DEMAGOGIA. LA BOCCIATURA DELLA LEGGE REGIONALE 

Per questo si deve salutare con soddisfazione la bocciatura (peraltro ampiamente prevista) da parte della Corte costituzionale della legge lombarda che prevedeva ogni possibile ostacolo di tipo urbanistico ed amministrativo – usando in modo del tutto bizzarro delle competenze regionali – alla costruzione di nuovi edifici di culto, islamici e non solo. Con motivazioni – quelle della legge del Consiglio Regionale lombardo – non solo inique e pretestuose ma persino comiche (come ad esempio luoghi di culto che dovrebbero disporre di aree di parcheggio degne di stadi olimpionici e rispettare il paesaggio).
Come ha scritto Franco Cardini, oggi, come allora, resta valido il principio adottato dall’Editto di Milano risalente al 313 dopo Cristo: sono lecite tutte le fedi – e quindi sono anche ammissibili i loro luoghi di culto – a patto che la loro attività si svolga nei limiti della legge. Punto e basta.
Il resto è demagogia da Ministri della Paura. Ve lo ricordate Albanese? “Io sono il Ministro della Paura e come ben sapete senza la paura non si vive. Una società senza paura è come una casa senza fondamenta.” In questo modo si raccattano voti ma oltre a non garantire giustizia certo non aumenta la sicurezza.
Sulla strada della convivialità delle differenze, ci piaccia o meno, siamo obbligati tutti a camminare.