Bossetti, uomo normale. Talvolta quasi sorprendente

BOSSETTI SI DICHIARA INNOCENTE. COME PREVISTO

Le esigenze di pura cronaca hanno la precedenza. Tuttavia l’esame in Corte d’Assise di Massimo Bossetti (in pieno svolgimento, prosegue nell’udienza di venerdì) contiene motivi di riflessione al di là del tentativo – ovviamente andato fallito – di risolvere in aula il dilemma del processo. Innocente o colpevole, lo stabiliranno i giudici, ma c’è poco da sorprendersi se l’imputato ha continuato a negare d’essere l’assassino di Yara, senza spiegare perché il suo Dna stava sugli indumenti intimi della povera tredicenne.
Delusione, più ancora che meraviglia, si è letta fra le righe di molti resoconti. Però autentiche novità da parte del muratore di Mapello, che durante l’intero procedimento non ha mai mutato versione, non era il caso d’aspettarsi. E il motivo lo si è intuito, appunto, attenzionando il suo comportamento. Questo dà l’impressione di essere un uomo normale. Se è stato lui, l’odioso reato attribuitogli – ai confini fra la pedofilia e la corruzione di minore – può nascere da una perversione sessuale ininfluente sul resto della sua personalità. Soggetto normale, perciò, ma anche perfettamente consapevole, che sa quel che fa.

I TRATTI DELLA PERSONALITÀ DELL’IMPUTATO

Determinato e piuttosto sicuro di sé. Qualcuno ha riferito di una certa arroganza, ma non si direbbe. Al massimo si può parlare di eccesso di certezza della propria estraneità. Però l’osservatore neutrale ha notato che gradualmente il tono del pubblico ministero interrogante, in partenza abbastanza aggressivo, si è moderato. Sembrava, a tratti, che a condurre l’esame fosse l’imputato.
Istruito, oltre la sua storia. Bossetti s’esprime in un italiano molto corretto, quasi forbito. Eppure lui stesso ha ricordato che a quattordici anni già faceva l’apprendista muratore, dunque molto tempo per lo studio non c’era. Anche su questo punto, c’è chi ha creduto d’individuare una voluta ricercatezza di linguaggio. Perché escludere, invece, che semplicemente gli piaccia leggere?
Realizzato, almeno all’apparenza. Moglie e due figli. Senza particolari problematiche, fino a prova contraria, i ragazzini. Quanto alla moglie, una giovane e piacente donna, che continua a difenderlo apertamente. Non conquistata attraverso auto lussuose e capi d’abbigliamento firmati (“M’ha interrogato più serratamente lei che non gl’investigatori”, durante i colloqui in carcere). Per sposarla il muratore un po’ di concorrenza l’avrà pur dovuta vincere, ciò significa che la sua immagine non combacia automaticamente con l’insoddisfatto cronico.

LA MOGLIE STA SULLA STESSA BARCA. DEVE REMARE

Intendiamoci. Qui non si tratta di assumere una posizione innocentista piuttosto che colpevolista. Tutt’altro. Sull’ultimo punto, per esempio, facile eccepire che la moglie di Bossetti sta sulla stessa barca – superfluo indicarne i numerosi motivi – e dunque non può che mettersi a sua volta ai remi. E, sulla sostanza dell’accusa, ha pur un valore che l’imputato non collabori, rifiutandosi nei fatti d’entrare nel merito, a proposito dell’individuazione del suo Dna. Senza contare che l’accusa ha raccolto elementi di contorno, alcuni dei quali non da sottovalutare.
Ma insomma questo processo non sta solo nell’incertezza della sentenza. Se fosse stato così, si poteva anche non fare il dibattimento, sbrigandosela con un rito alternativo. Al contrario, la personalità di Bossetti, comunque la si voglia valutare, spiega e riscatta la decisione della difesa di affrontare l’aula. Un uomo in attesa di giudizio non è solo, semplicemente, colpevole o innocente. Ma anche una persona con le spalle al muro, le cui reazioni sia i suoi giudici che l’opinione pubblica – quest’ultima astenendosi dal fare il tifo – hanno il dovere di approfondire senza superficialità.