Capire Verdini. E capire perché non capiscono Bersani, D’Alema e tanti altri. Per non parlare di Berlusconi

Foto: Denis Verdini

Denis Verdini, passato dal PRI al Patto Segni a Forza Italia negli anni  ‘90, promotore con Berlusconi del Patto del Nazareno con il PD del 18 gennaio 2014 (un patto sui seguenti punti: riforma del Nuovo Titolo V della Costituzione, trasformazione del Senato in “Camera delle autonomie”, una nuova legge elettorale), moralità politica incerta, passato non sempre indenne attraverso strettoie giudiziarie, di cui una recentissima, è diventato un caso nel PD.

VERDINI VOTA PER IL GOVERNO E LA SINISTRA PD SI ARRABBIA

Fedele al patto del Nazareno, anche quando Berlusconi lo ha tradito per ripicca – essendo stato escluso dalla designazione presidenziale di Mattarella, per aver variamente tramato alle spalle di Renzi – Verdini vota ormai costantemente per il governo con il suo gruppo autonomo al Senato ALA (Alleanza liberalpopolare-Autonomie). Voto tanto più importante e significativo quanto più la minoranza interna del PD si sottrae ai suoi obblighi di maggioranza. Nella polemica aspra aperta in questi giorni dalla minoranza del PD contro Renzi, si intravedono una robusta motivazione tattica contingente e un dissenso politico-culturale più strategico.

Di quella contingente è facile comprendere le ragioni. I voti di Verdini diminuiscono il peso specifico di ricatto che spesso potrebbero avere quelli della sinistra interna, cui restano poche frecce, sempre più spuntate. Alle spalle, tuttavia, stanno questioni più di fondo, che riguardano gli assetti politico-istituzionali della Repubblica e l’identità della sinistra.

IL PECCATO DI RENZI SECONDO LA SINISTRA: GUARDARE A DESTRA

La sinistra interna del PD rimprovera a Renzi di tradire la sinistra storica, di praticare un neo-centrismo che guarda a destra (mentre quello democristiano guardava a sinistra), più vicino a Berlusconi che a D’Alema o Bersani. Lo scontro nasce sulla risposta possibile alla domanda: che cos’è la sinistra oggi? Più in profondità: quale tipo di istituzione-partito serve oggi? Dunque: una domanda culturale e una domanda istituzionale. Renzi parte da una constatazione difficilmente contestabile: il distacco dei cittadini/elettori dalla politica. Dovuto non ad un odio preconcetto insorto irrazionalmente nel “popolo bue” contro la politica e i partiti  – non è l’Uomo Qualunque fondato il 27 dicembre del 1944 – ma, piuttosto, al rifiuto di continuare a conferire una delega in bianco ai partiti, della quale hanno fatto un uso sempre peggiore. Il populismo non nasce contro la politica, ma contro una politica incapace di risolvere i problemi del Paese. Pertanto i cittadini/elettori hanno incominciato a pensare di non passare più attraverso la mediazione dei partiti, ma di mettere alla prova le proprie capacità di scelta diretta. Prove di democrazia diretta.

LE PRIMARIE, LE GAZEBARIE, LE “INTERNETTARIE” E I VECCHI PARTITI

A questa classe di scelte appartengono le primarie, le gazebarie, la formazione delle liste dei candidati via Internet (le internettarie?). Tutte queste forme hanno però un limite strutturale: una volta eletto, il delegato va per suo conto. È il suo partito-gruppo parlamentare a muoversi autonomamente. È il leader o il segretario di partito che decide. E sono le alleanze e coalizioni di partito che scelgono il governo, i ministri, il Presidente della Repubblica. Al centro stanno pur sempre i partiti di sempre. Insomma: anche nel 2016, ci troviamo pur sempre tecnicamente nella Prima repubblica. Dal punto di vista dell’elettore un passo in avanti “verso la democrazia diretta” sarebbe quello della scelta nell’urna del capo di governo, bypassando la mediazione dei partiti. Il che implica però un tipo diverso di partito: non più il partito coalizionale o federatore, ma il partito a vocazione maggioritaria.

IL PARTITO MAGGIORITARIO E L’OPPOSIZIONE DI BERSANI, D’ALEMA E COMPAGNI

Fu Walter Veltroni a proporlo in un discorso a Torino il 27 giugno 2007. Un partito che si propone di governare da solo, raccogliendo una vasta area di consenso, che propone un leader, che gli elettori dovranno confermare nelle urne. Il partito maggioritario non ha più una base di classe specifica (gli operai con il PCI, i ceti medi con la DC, i ceti urbani rampanti con il PSI, i padroni con il PLI…). Il partito maggioritario, che Renzi, prendendo il lessico da Alfredo Reichlin, ha chiamato “partito della nazione” – a sua volta traducendo l’espressione togliattiana “la funzione nazionale della classe operaia – ha una base principalmente culturale-programmatica, quindi interclassista. Per una qualche misteriosa ragione, oggi Veltroni polemizza con il “partito della nazione” di Renzi, ma se non è zuppa è pan bagnato. Ciò che distingue il partito della nazione di centrosinistra dal partito della nazione di centrodestra sono la visione, la cultura politica, il programma. Questo nuovo tipo di partito non fa alleanze. Va da solo alla contesa. E vinca il meno peggio! Ora, è esattamente questo passaggio che la vecchia sinistra di D’Alema, Bersani e pupilli non vogliono fare. Perciò lamentano a gran voce che il partito della nazione non sarebbe più di sinistra. Sarebbe di destra. Nostalgici di Togliatti e del PCI, continuano a pensare che i partiti abbiano ciascuno un feudo elettorale, un’eredità intramontabile, che si tratta di rappresentare politicamente e di far valere attraverso il gioco delle alleanze e delle coalizioni. Il capo del governo viene fuori dal cappello di queste alleanze. Peccato che la storia della Prima repubblica – e di quella che con qualche forzatura è stata chiamata la Seconda – abbia dimostrato tutta l’instabilità e l’impotenza di governo delle coalizioni e dei partiti coalizionali o federatori (di cui il PDL è stato l’esempio, oggi in triste e penoso disfacimento). Questa impotenza ha generato la reazione populista. Come è evidente, il caso Verdini è, in realtà, il caso ostinato della minoranza del PD, che continua a voltarsi indietro, verso un passato che non passa, ma solo nella loro testa. Che non è solo la nostalgia del PCI. È il lutto inconsolabile di tutto un vasto ceto politico di ex-dc, ex-socialisti, ex-comunisti, ex-socialdemocratici, ex-repubblicani, ex-liberali, insomma di tutte le vedove in gramaglie del vecchio arco costituzionale dei partiti della Prima repubblica.