Dario Fo alla Fiera dei Librai: i controsensi dell’uomo attraverso l’umanizzazione di Dio

Ricordi, passione, amore, religiosità, teatro. È un fiume in piena Dario Fo durante la presentazione del suo libro Dario e Dio, con la quale ieri mattina è stata inaugurata la 57esima edizione della Fiera dei Librai di Bergamo. Un incontro in cui il neo novantenne premio Nobel, accompagnato dalla giornalista e coautrice del libro Giuseppina Manin, ci racconta il suo rapporto personale con Dio e con gli episodi biblici. Un dialogo sempre vivo e aperto, dal quale scaturiscono riflessioni dissacranti, ironiche, grottesche, anticlericali ma mai disinteressate. Perché, è lo stesso Dario Fo a ammetterlo in apertura di incontro, il suo interesse nei confronti del tema religioso non è mai venuto meno, fin da ragazzo, mentre apprendeva gli escamotage del teatro dai fabulatori del suo lago Maggiore. Così Fo cede ai ricordi, e lo fa raccontando di quei pescatori inconsapevolmente dotati della migliore tecnica teatrale: il racconto, e ringraziando con una nota di commozione la fortuna di avere incontrato una grande esperta e profonda conoscitrice di teatro – la compagna di vita Franca Rame -, infine ripercorrendo i suoi esordi in Rai e le sue rappresentazioni teatrali di Mistero Buffo. Lì Fo dimentica il suo ruolo di autore e torna attore, alzandosi dalla sedia a più riprese per narrare gli episodi delle sacre scritture da un punto di vista umano e dissacrante: dalla genesi alle parabole, dalla crocefissione all’arca dell’Alleanza. Ne deriva un Caino trascurato e depresso, un Isacco vendicativo nei confronti del padre, un contraddittorio Mosè che predica perdono e punisce senza pietà, un Gesù conoscitore delle arti dell’intrattenimento e delle tecniche della rappresentazione artistica, un Dio distratto, menefreghista, infantile e viziato. Eppure tutta la narrazione, che porta il sacro su un piano popolare da commedia dell’arte dando a santi e angeli il ruolo di giullari di corte, coesistono diversi livelli di comunicazione. C’è l’antico contrasto tra fede e ragione, l’analisi dei vangeli apocrifi, l’impegno sociale contro lo status quo, i paradossi dell’incontro con altre culture, un’analisi dura e impietosa sulla distanza tra le scritture e i comportamenti della società, tra il dire e il fare, tra il mostrare e l’essere. È in questo meccanismo di rovesciamento che sta la forza dell’incontro con Dario Fo: ci fa ridere narrandoci di noi stessi, estremizza ed evidenzia i controsensi dell’uomo attraverso l’umanizzazione di Dio. È un meccanismo fine, che infastidisce, che pizzica lo spettatore dietro gli orecchi e lo spinge a compiere un passo oltre. Non è derisione e sbeffeggio, è autocritica e onesta consapevolezza della fallibilità umana. Non manca, in chiusura dell’incontro, un apprezzamento per il coraggio di papa Bergoglio. Primo a scegliere il nome di Francesco, figura (guai a chiamarlo santo) cui Fo è particolarmente affezionato nella sua accezione storica extra ecclesiastica, fatta di umana ribellione. C’è da ridere, ad ascoltare Dario Fo. Ma poi, quando si esce dal teatro, a mente fredda, c’è da riflettere.