La monarca più longeva della storia d’Inghilterra, nonché governatore supremo della Chiesa Anglicana, racconta in un libro la sua fede in Dio e come questa fede l’abbia accompagnata in tutta la vita, pubblica e privata. E del suo essere regina come missione e vocazione, al servizio di Dio e della nazione.
A pochi giorni dal compimento dei novant’anni che il prossimo 21 aprile la renderanno la monarca più longeva della storia del regno, la regina Elisabetta II ha deciso di parlare pubblicamente, per la prima volta, della sua fede cristiana.
In un libretto, curato dalla Società biblica, l’associazione Hope e l’Istituto londinese per il cristianesimo contemporaneo e diffuso in tutte le parrocchie della Chiesa di Inghilterra, la regina – che è anche governatore supremo della Chiesa d’Inghilterra – racconta la fedeltà a Dio. Un’esperienza sperimentata fin da bambina, durante gli anni difficili della Seconda guerra mondiale, poi alla morte dell’amatissimo padre, nella durata di un matrimonio tutto sommato felice con un uomo dal carattere non sempre facile, lungo i tre tormentati divorzi dei figli e attraverso la morte della nuora Diana quando, abbandonata per la prima volta dai sudditi, la regina visse il momento più critico del suo lungo regno.
“Sono profondamente consapevole di quanto io conti sulla mia fede come guida attraverso ore facili e altre più difficili”scrive Elisabetta nella pubblicazione intitolata “The Servant Queen and the King She Serves” (“La regina servitrice e il Re che lei serve”). E ancora: “Ogni giorno è un nuovo inizio e so che l’unico modo di vivere è dare il meglio di me stessa fidandomi completamente di Dio. Attingo la mia forza dal messaggio di speranza del Vangelo”.
Chi conosce bene la personalità della Regina, come il suo biografo Ben Pimlott, sa che l’incoronazione, il 2 giugno del 1953, fu il momento in cui la sua vita cambiò per sempre.
Quando, lontano dalle telecamere, vestita soltanto di bianco, senza gioielli, proprio come una sposa, Elisabetta venne consacrata con l’olio dall’arcivescovo di Canterbury, al servizio di Dio e della nazione, essere regina divenne la sua missione e vocazione. E cominciò una vita di duro lavoro e di lunghi viaggi all’estero, nei quali era impossibile portare i figli pur piccolissimi. Ancora oggi, a novant’anni, la impegnano oltre 40 ore alla settimana di lettura dei documenti e funzioni pubbliche tutti i giorni dell’anno tranne che a Natale e a Pasqua. Ogni domenica la Regina partecipa a una funzione anglicana e invita regolarmente vescovi a passare le vacanze con lei.
Nei suoi messaggi di Natale ha spesso parlato di Gesù “come esempio di perfetto amore sacrificale che ha capovolto il mondo” che ci chiede di “sfruttare al meglio i nostri talenti perché la responsabilità con cui affrontiamo le sfide della vita è soltanto nostra”.Parole che questa regina, che non arriva mai in ritardo e non disturba nessuno dei suoi dipendenti fuori dall’orario di lavoro e della quale nessuno ricorda uno scatto di nervosismo o un momento di cattivo umore, ha senz’altro messo in pratica mettendo la sua fiducia in Dio.
Proprio come in quel poema che Elisabetta, appena tredicenne, consegnò al padre, re Giorgio V perché lo leggesse a una nazione che, stremata dalla Prima guerra mondiale si preparava ad affrontare la Seconda.
“Ho chiesto all’uomo che stava sulla soglia del nuovo anno: ‘Dammi una luce che mi faccia camminare al sicuro in un territorio sconosciuto’. E mi rispose: ‘Esci nel buio e metti la tua mano in quella di Dio. Sarà meglio per te della stessa luce e più sicura di una via conosciuta’ “