Alessio Mussinelli racconta il mondo piccolo di Sarnico in «Nemmeno Houdini»

Un tesoro leggendario, una band scalcinata, una vedova che non si rassegna alla solitudine, un sagrista che vuole fare il prete: è una provincia variegata e gustosa, con qualche punta di sana bizzarria, quella descritta da Alessio Mussinelli, giovane scrittore bergamasco e collaboratore del Santalessandro in «Nemmeno Houdini» (Fazi). Questa sera la presentazione in Domus-Piazza Dante alla Fiera dei Librai, ore 21. Accanto a Mussinelli ci sarà un altro scrittore bergamasco, Alan Poloni. Riproponiamo per l’occasione qualche brano dell’intervista che gli abbiamo fatto in occasione dell’uscita del libro. Per incuriosirvi, il resto bisogna ascoltarlo da lui.

Nel libro parlando del lago d’Iseo si fa cenno a un posto un po’ speciale «il piede dell’orso», che sarebbe legato a una leggenda e a un tesoro. Ma esiste davvero o è un’invenzione letteraria?

«Esiste veramente. È una protuberanza di piante, terra e muschio che cresce aggrappata alla roccia, nella zona dell’orrido di Zorzino, lago d’Iseo. Me ne hanno parlato per la prima volta due amici che vivono in zona, mi hanno portato a vederla in motoscafo perché dalla parte della strada è difficile riconoscerne la forma. Guardandola dal lago, invece, ha esattamente le sembianze di un piede d’orso. Come si accenna nel romanzo, questa protuberanza impiega anni a crescere, finché il suo stesso peso la strappa dalla roccia e la fa cadere in acqua. Se non sbaglio è caduta nell’inverno del 2013, dovremo aspettare diverso tempo per poterla osservare ancora. Invece la leggenda che vorrebbe un tesoro romano sul fondo del lago, in prossimità del piede dell’orso, è frutto d’immaginazione, anche se sono sicuro che ogni lago, compreso il Sebino, abbia una sua leggenda di tesori sommersi».

Ma la parola “alòss” dove l’hai scovata?
«Alòss è un’espressione che mia nonna Bettina e le sue amiche del caffè usano continuamente per esprimere incredulità. È una particella che mi ha sempre incuriosito, e che ho usato per caratterizzare tutti gli abitanti di Sarnico in un trait d’union linguistico che evidenziasse la loro complicità nei confronti della destabilizzazione creata dall’arrivo di un nuovo prete, don Fulvio. Adoro il lago e adoro la “gente di lago”, porta dentro di sé il contrasto e la ricchezza derivante dalla coesistenza degli elementi terra e acqua. Nel romanzo questi contrasti vengono messi a nudo e sfruttati per creare la tradizionale commedia degli equivoci, ma anche per ironizzare sui cliché che dipingono la gente di lago come le sardine: difficili da mandar giù».

In questo romanzo c’è molta musica, una passione autobiografica? E «I cinghiali» (la band del romanzo) da dove vengono?
«Ho iniziato a suonare il pianoforte da bambino e non ho mai smesso. Ora suono in un’orchestra di musica da ballo di Palazzolo sull’Oglio, i Bluemoon. A loro è ispirato il rapporto tra i musicisti del gruppo dei Cinghiali. Tante volte, come in ogni mestiere, si osservano le situazioni sotto punti di vista diversi e si è in disaccordo, ma tra musicisti non c’è bisogno di parole, ci si capisce al volo. In fondo è l’allegoria dello spirito che accompagna tutto il romanzo: anche (e soprattutto) quando le cose vanno male, bisogna unirsi anziché dividersi. Altrimenti è come pretendere di affrontare una tempesta a bordo di una barca in cui ognuno rema nella propria direzione. È una forma mentis che mi affascina molto e che rivivo spesso nei racconti dei nonni. Il nome dell’orchestrina fondata da uno dei protagonisti del romanzo, i Cinghiali, deriva da un aneddoto del nostro cantante Eugenio, che a inizio carriera suonava in un gruppo con quel nome. Era giusto usarlo, ma vi assicuro che tutto il resto nulla ha a che vedere con il nostro cantante».
Sai come si dice…non c’è due senza tre…ti trovi bene, come scrittore, in questo “piccolo mondo” di Sarnico?
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Non c’è due senza tre, e il quattro vien da sé… Proverbi a parte, il piccolo mondo di Sarnico è un mondo magnifico, ma la scrittura ha sempre bisogno nuovi di stimoli alla base e spesso le storie, come un buon vino, devono decantare prima di essere messe in tavola. Per questo ora mi sto dedicando a un progetto di scrittura totalmente slegato dai primi due romanzi, ma non escludo che prima o poi sentirò il bisogno di mettere sul tavolo un nuovo episodio sempre partendo dal piccolo mondo del lago d’Iseo».
Vuoi raccontarci qualcosa del progetto Bergamo scrive, di cui sei parte attiva?
«BergamoScrive è un progetto nato dalla collaborazione con altri giovani autori bergamaschi. Alan Poloni, Emanuela Serughetti e Federico Redaelli. Abbiamo organizzato un bel ciclo di incontri lo scorso inverno, e ci proponiamo sui social come punto di contatto tra gli autori e i lettori della provincia, con la segnalazione di uscite, presentazioni e eventi culturali in città e in provincia. È un progetto che portiamo avanti a tempo perso, per passione, ma che mi auguro avrà un buon futuro per aiutare l’emergere di nuovi autori. Se avete voglia fate un salto su twitter e facebook».