Le amministrative di Roma. Un interessante laboratorio per l’Italia intera

Foto: Roma, il Campidoglio

I QUATTRO CORRIDORI IN CORSA. E GLI ALTRI

Ma che bipolarismo è se la corsa a sindaco di Roma vede iscritti quattro ciclisti con possibilità simili? Chi sarà il primo cittadino della Capitale fra Virginia Raggi, cinquestellata, Roberto Giachetti, renziano di più o meno stretta osservanza, Alfio Marchini, sedicente indipendente e Giorgia Meloni, destrorsa doc? Senza contare almeno un altro paio di candidatini, Stefano Fassina, comunista, e Simone Di Stefano, vicepresidente di Casapound. Osservazioni basilare: a queste latitudini, tante teste, altrettante opinioni. Semplificare troppo la politica con i soli bianco e nero, buttando a mare gli altri colori, appare illusorio.
S’è detto e ridetto che la Capitale, proprio in seguito alla forte competizione instauratasi, sta costituendo un autentico laboratorio. Sarà così davvero? Che la politica nostrana stia rapidamente cambiando non tanto nei comportamenti (purtroppo) bensì nella formazione degli schieramenti si distingue a occhio nudo. Ma Roma è una metropoli dove il vento di destra può spirare impetuoso, se il cielo si fa nuvoloso. Più che altrove. Una particolarità che, accentuando la litigiosità in quella metà campo, potrebbe inficiare l’attendibilità di certi esperimenti.

LA GIOCATA DI BERLUSCONI 

Ecco perché Berlusconi ha rotto all’improvviso i suoi lunghi e strumentali indugi, scartando il due di picche Bertolaso per l’ormai quasi pariolino Marchini, pur rampollo di famiglia storicamente berlingueriana. Abbandonando Meloni, l’ex cavaliere vuol vedere che effetto fa andare in tackle sulla Lega, laddove la Lega sostanzialmente non c’è e tristemente si chiama “Noi con Salvini” per sostenere Fratelli d’Italia.
In questo senso il concetto di laboratorio regge. Intanto, per i resti di Forza Italia, l’appoggio a Marchini rappresenta una discreta prova del nove, ma pure un’immediata presa di beneficio. “Il Messaggero”, che a Roma – magari più al bar che sul divano di casa – tutti leggono, è schieratissimo a favore, via Caltagirone (la potentissima proprietà). Casini, sebbene in rotta con l’ex moglie, figlia di Caltagirone appunto, ha già dato il suo entusiastico consenso, trascinando pure il vecchio amico Fini. E poi le entrature sul territorio della stirpe del giovanile e televisivo Alfio possono sdoganare la milanesità aziendale.
Tutto qui? Molto probabilmente no. Berlusconi a Roma vuol partecipare ma non necessariamente vincere. Partecipa in quanto difende la sua supposta leadership a destra. Ma, se perde, che s’imponga almeno Renzi, l’avversario più simpatico del mondo. A proposito di milanesità aziendale, Mediaset a breve scadenza sarà soggetta alla nuova normativa sulle concessioni televisive, dunque inciucino o inciucione col governo richiedesi. E spaccare la sua compagine serve.
Il gradito soccorso azzurro a Renzi, del resto, altre volte si è materializzato. L’attuale ministro degli interni, Angelino Alfano, e’ di fabbricazione berlusconiana e dell’uomo d’Arcore era il braccio destro, al punto da dirigere il nevralgico dicastero della giustizia, quando l’esecutivo era guidato dal vecchio Pdl. Non parliamo di Denis Verdini, reclutatore di parlamentari e consigliere privilegiato di Berlusconi passato inopinatamente, fra mille ovvie proteste, a sostegno del premier. Alfano e Verdini hanno tradito tanto clamorosamente oppure, sotto mentite spoglie, continuano a giocare nell’antica squadra?

LA MELONI E I VOTI DELLA BALDUINA E DELLA GARBATELLA

La partita con Meloni – la molto teorica erede d’Almirante, che i colonnelli dell’epoca Gasparri, Alemanno, lo stesso Fini cercano d’isolare – si fa aspra, a questo punto. Posta in palio, la supremazia nella propria metà campo. Giorgia prenderà un sacco di voti. Quartieri importanti come la Balduina ma tutta Roma Nord restano in buona parte fedeli al fu Msi, di cui erano la roccaforte già ai tempi di Michelini, il predecessore d’Almirante. Casapound, presente nelle periferie e a Ostia, all’eventuale ballottaggio sosterrà la signora nata e cresciuta alla a sua volta periferica Garbatella. Ciò che significa? Che queste elezioni saranno le vere primarie della destra. E che tutta quell’area – spezzata ma anche rivitalizzata al punto che perfino Storace, zoccolo duro dei non pochi postfascisti capitolini, sta al gioco – a Roma giocherà la sua brava partita.

GIACCHETTI, IL MIGLIORE. DA DIMOSTRARE

Il problema è tutto di Giachetti. Che, dei candidati possibili del Pd, sembra – una volta tanto – il migliore. Romano doc e romanista puro (particolare non secondario, quest’ultimo, in una città col torto di non sapersi esportare come metropoli europea proprio a causa di campanilismi di quartiere che a volte la fanno apparire provincia d’Ascoli Piceno), il vicepresidente della Camera – forte delle sue origini radicali – ottiene il sostegno (sulla carta) perfino della storica sezione di via dei Giubbonari, nel cuore di Campo de’ Fiori. Dove la proposta ai giovani d’azzeramento dell’attuale politica è qualcosa più di una semplice tentazione. Capo di gabinetto del sindaco all’epoca dell’amministrazione Rutelli e dunque con un bagaglio più o meno congruo d’esperienza specifica, Giachetti d’essere un vincente deve dimostrarlo ora, puntando sulla Roma che ben lo conosce. Quella della media borghesia dei Prati, quella cattolica di via della Conciliazione, a ridosso del Vaticano, quella dei mercati rionali.

VIRGINIA RAGGI E I BORGATARI SCOCCIATI

Ed eccoci a Virginia Raggi, il giovane avvocato civilista dei 5 Stelle. La vera incognita. A livello personale, gli altri tre sono nettamente più noti e più forti. Favorita, e questo è tutt’altro che un vantaggio. Tuttavia Roma è la prima grande città in cui il Movimento di Grillo, orfano di Casaleggio, può sfondare.

– L’indole del popolo romano non s’adatta a chi s’attarda eccessivamente a riflettere, cioè quando il borgataro si scoccia, si scoccia senza mezzi termini e sposa la tesi che a mali estremi, estremi rimedi.

– E se l’italiano medio s’è ormai scocciato, appunto, di tanta politica corrotta diventata norma, figurarsi il cittadino di Roma che con quei politici magnoni ha a che fare quotidianamente sotto casa. Dunque almeno al primo turno credito alle gentile signora, che, pur con la gracilità della sua storia, si presenta gradevolmente.

MOLTA ACQUA DEVE PASSARE SOTTO I PONTI. DEL TEVERE

Tropp’acqua deve passare sotto i ponti del Tevere. E il gioco si farà duro dopo il 5 giugno. Allora si’ che i coltelli voleranno. Allora si’ che un laboratorio – ma fino a che punto indicativo su scala nazionale? – entrerà in funzione. Si spera cavando la meglio qualità a disposizione. Anche se il materiale – Meloni lepenista, Marchini libero dai partiti con un Berlusconi al seguito, Giachetti di sinistra incerta, Raggi di dubbia consistenza – non pare di primissimo piano.