I vestiti per i ricchi fatti nei Paesi poveri? Non ci sto: la moda può essere sostenibile

«Vestire gli ignudi» è la terza delle opere di misericordia corporali. Chissà se Gesù si è mai interrogato sul fatto che anche solo la realizzazione dei vestiti stessi avrebbe potuto arrecare danno e far soffrire qualcuno. Forse a quel tempo non era necessaria una preoccupazione simile, ipoteticamente l’abbigliamento delle persone veniva realizzato per la maggior parte in loco ma oggi sappiamo che la nostra società occidentale globalizzata sopravvive e vive grazie e a discapito della parte del mondo più povera. La manodopera viene quasi sempre esportata in paesi in cui costa meno e le aziende che riescono ad avere meno costi ricevono anche premi in borsa, come descrive bene la sociologa Saskia Sassen nel suo libro «Espulsioni». La finanza si aggira nei luoghi dove le è più favorevole estrarre risorse, e noi? Siamo l’ultima pedina della grande scacchiera globale: i consumatori più ricchi, a cui è concessa un’ampissima gamma di offerte, in cui spesso però è facile perdersi. Come per le altre opere di misericordia, tipica il «dar da mangiare agli affamati», è bene ragionare sul fatto che spesso «il fine non giustifica i mezzi». Pensiamo alla malnutrizione in America, dove c’è un’alta percentuale di obesi, o ai santi e alle martiri che a forza di digiuni si ammalavano di anoressia. La legge dell’entropia ci insegna che è minore l’energia impiegata nelle reazioni dirette rispetto a quelle inverse e in questo modo risulta per noi difficile anche solo pensare una rilocalizzazione, perché la sentiamo più faticosa. Tuttavia c’è chi lo fa, chi segue l’etica prima del profitto e ne trae beneficio, anche spirituale: artigiani, agricoltori, negozianti ecc., soprattutto i giovani, fiutando una concreta possibilità di far ripartire l’economia grazie alle proprie risorse, senza bisogno di (s)venderle oltre i confini. Forse non saranno tutti cristiani, ma io penso che Gesù ne sarebbe fiero. Ho scelto di scrivere una piccola serie di articoli sulla moda sostenibile proprio perché credo in questa possibilità: dalla piantagione di cotone al consumatore responsabile, la filiera pulita di una moda senza schiavitù e rispettosa dell’ambiente è un esempio ancora una volta della creatività italiana, del l’eccellenza nella moda e della sua capacità di ingegnarsi in caso di difficoltà.