Il cardinal Bagnasco, Renzi, le unioni civili. I cristiani e le “leggi imperfette”

Immagine:  tomba di s. Agostino, Pavia

I TIMORI DI BAGNASCO, LA RISPOSTA DI RENZI

Alla legge sulle unioni civili, recentemente approvata dal Parlamento, ha mosso due obiezioni il Card. Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana: stiamo andando verso l’equiparazione tra le unioni civili e la famiglia tradizionale; l’inevitabile passo successivo sarà la piena legittimazione della pratica dell’utero in affitto. Renzi ha risposto che, in quanto capo del Governo, non ha giurato sul Vangelo, ma sulla Costituzione.

GIÀ CAPITATO: I CRISTIANI HANNO ACCETTATO LEGGI CHE NON CONDIVIDEVANO

Non si intende qui riprendere il merito specifico del dibattito, quanto piuttosto fare emergere le questioni di filosofia politica che stanno alle spalle. Ai cristiani è accaduto molte volte nella storia di dover fare i conti e di doversi piegare a una legge che non rispecchiava la loro etica. È accaduto nei primi tre secoli di storia della Chiesa, quando i legislatori erano pagani e i cristiani erano minoranza. Ma è accaduto anche dopo, quando con Teodosio e poi con Giustiniano i legislatori erano cristiani. Come faceva notare il teologo e cardinale Georges Cottier, recentemente scomparso, in un articolo su “La politica, la morale e il peccato originale” del 2009, i primi legislatori cristiani non abrogarono da subito le leggi romane tolleranti verso pratiche “non conformi alla legge naturale, quali il concubinaggio e la schiavitù”: “… per garantire il consenso dei cittadini e custodire la pace sociale, vennero mantenute in vigore le cosiddette ‘leggi imperfette’ , che evitavano di perseguire azioni e comportamenti in contrasto con la legge naturale”.

OGGI I CRISTIANI SONO DI NUOVO MINORANZA

Oggi che i cristiani sono diventati una minoranza culturale e socio-politica, essi si trovano di bel nuovo di fronte a un assetto socio-politico, le cui leggi si discostano dall’etica cristiana. Si apre una contraddizione tra teologia, etica e diritto, riguardi essa il divorzio, l’aborto, le unioni civili. È una debole obiezione quella di coloro che rimarcano come suddette leggi non obbligano i cristiani a divorziare, abortire… Perché i cristiani si preoccupano non solo della propria salvezza, ma del destino della società, in cui vivono. E allora, che dire e che fare? Sul “che dire” già sant’Agostino ha scritto, tanto nel “De civitate” quanto nel “De libero arbitrio”. La sua idea di fondo è che la natura umana è stata “sauciata” cioè ferita dal peccato originale. L’umanità non si allinea spontaneamente al diritto naturale, cristianamente illuminato, non ama la verità e la bontà o la giustizia, come pretendeva lo stesso Cicerone nel De Republica, con il quale Sant’Agostino polemizza. Gli uomini non amano il giusto, ma l’utile. Pertanto la legge civile prevede solo quelle sanzioni “che sono sufficienti a conciliare la pace tra gli uomini”. Essa regola il possesso dei beni temporali e poco altro, impedisce il conflitto distruttivo attorno ai beni che gli esseri umani amano di più. Nella visione realistica e smagata di Sant’Agostino le leggi rispecchiano questa condizione umana. E benchè il male debba essere incessantemente combattuto, dice Cottier, è “pericolosa l’illusione di eliminare totalmente il male dalla storia per via legale, politica o religiosa.

I DISASTRI DI CHI VUOLE IMPORRE IL BENE

La storia anche recente è disseminata di disastri prodotti dal fanatismo di chi pretendeva di prosciugare le fonti del male nella storia degli uomini, finendo per trasformare tutto in un grande cimitero”. L’allusione al comunismo e al fondamentalismo islamico e a ogni forma di fondamentalismo religioso è trasparente. Il Digesto di Giustiniano circa un secolo dopo Agostino, ma sulla stessa linea precisa: “Ius pluribus modis dicitur: uno modo, cum id quod semper aequum ac bonum est ius dicitur, ut est ius naturale. Altero modo, quod omnibus aut pluribus in quaque civitate utile est, ut est ius civile” (Diritto si dice in molti modi: in un modo, con il quale si dice diritto ciò che è sempre giusto e buono, quale è il diritto naturale. In altro modo, ciò che è utile a tutti o ai più in qualsiasi città, quale è il diritto civile”). Pertanto, il diritto civile sta a metà, in una terra di mezzo, tra il diritto naturale e i comportamenti reali (Ius civile est, quod neque in totum a naturali vel gentium recedit nec per omnia ei servit: itaque cum aliquid addimus vel detrahimus iuri communi, ius proprium, id est civile efficimus). Sono qui esclusi – e siamo nel VI secolo – sia lo stato etico sia lo stato confessionale. Nessuna nostalgia vetero-costantiniana lo potrà riportare in auge.

LA FEDE NON VA SALVATA CON LA POLITICA

E allora, che fare? Sulle grandi questioni antropologiche del nostro tempo i cristiani dovranno continuare a dare battaglia con buoni argomenti. Se il processo di secolarizzazione sconfina nel nichilismo e nell’anomia sociale generale, di questa battaglia c’è bisogno. Ma buttare tutto ciò in politica, trasformare in schieramento, accedere a mobilitazioni referendarie può diventare diventa rischioso per i contenuti della battaglia stessa. La mondanizzazione politica della fede ha sempre finito per pregiudicare le potenzialità civili e culturali dell’esperienza di fede.