Alice, Da Bergamo alla Bielorussia con lo Sve: «I bambini di Minsk mi hanno cambiato la vita»

Nuovo appuntamento con la nostra rubrica #Vieniviaconme. Oggi Alice Ranica, giovane bergamasca in Bielorussia, a Minsk, per un progetto di Servizio di volontariato europeo condotto con Aeper, racconta il suo incontro con i bambini disabili dell’istituto dove svolge attività di volontariato. Un incontro che l’ha sorpresa, le ha cambiato lo sguardo e la vita.

Devo essere sincera: la pazienza non è mai stata il mio forte. Sono una di quelle persone che apre lo sportello del forno ogni tre secondi per vedere se le lasagne sono pronte e muove la gamba nervosamente quando deve mettersi in coda in banca o al supermercato. Negli incontri alla cooperativa Aeper antecedenti alla mia partenza in Bielorussia, mi chiesero “Cosa speri di acquisire alla fine della tua esperienza?” e la mia risposta fu “Pazienza. Tanta, immensa, infinita pazienza.”
Sapevo che avrei dovuto lavorare con bambini disabili e anche se cercavo di non farmi prendere dal panico, la verità è che non avevo la minima idea di come comportarmi. Oltre a non avere pazienza, penso di essere una di quelle persone con un istinto materno non particolarmente sviluppato. Ogni volta che qualcuno mi mette tra le braccia un bebè, rimango con una faccia inebetita, non sapendo come stringere il piccolo e rifiutandomi categoricamente di cinguettare stupidaggini con quell’odiosa vocina melensa che gli adulti assumono quando parlano con i bambini.
Con tutti questi buoni propositi in valigia, sono partita alla volta di Minsk e dopo una settimana ho messo piede per la prima volta in un’ istituzione dove vivono bambini con disabilità.
La prima visita è stata abbastanza scioccante. Ho percorso dei corridoi variopinti con allegri disegni di animali per poi fare ingresso in diverse stanze nelle quali erano raggruppati gruppi di bambini, alcuni di loro con un aspetto apparentemente “normale”, altri con visibili deformazioni fisiche.
Ho lanciato uno sguardo al mio coinquilino, che pareva aver visto un fantasma. Uno sguardo che urlava “Oddio, fuggiamo da qui!”. Non sapendo come mascherare questo sentimento di sgomento, iniziai a sorridere istericamente ad ogni bambino e a dispensare “Privet” (ciao, in russo) a destra e a manca. Ero davvero in grado di sopportare tutto ciò?
Decisi di concedermi il beneficio del dubbio e tornare all’istituzione la settimana seguente. Alcuni bambini mi avevano riconosciuto e mi accolsero salutandomi calorosamente. Settimana dopo settimana, ho iniziato a sentirmi sempre più a mio agio con loro. Ho iniziato a conoscere più a fondo le loro storie e ciò che più piace ad ognuno di loro.
Mi sono affezionata molto ad alcuni bambini in particolare.
Per esempio Timofej, un piccolo ometto inseparabile dal suo telefono rosa. Ha veramente un debole per i telefoni in generale e vuole che ci scattiamo fotografie di continuo. Non può camminare, ma non smette di provarci. Lo porto sempre in sala da pranzo tenendolo per le braccia e cercando di fargli muovere dei passi. Poi si aggrappa al corrimano e mi mostra felice i suoi progressi. Qualche volta prova a mugugnare qualche parola, ma persino le specialiste dell’istituzione fanno fatica a capirlo. A volte non parla affatto. Inutile dire che quando il giorno del mio compleanno ho fatto visita all’istituzione e Timofej mi ha accolto cantandomi una canzone, ero piena di gioia.
Un’altra personcina che si è subito fatta spazio nel mio cuore è Lena. Lena ha 17 anni ed è la più indipendente lì dentro. Quando mi vede arrivare ha sempre in serbo qualche parola carina per me, un semplice “Alice, come sei bella oggi!” che mi cambia la giornata. Lena è un’instancabile chiacchierona e vuole sapere come è il mondo fuori da quelle quattro mura. Io provo a spiegarglielo , anche se è difficile descrivere la realtà a chi non l’ha mai vissuta realmente. A volte ascoltiamo canzoni di popstar russe di dubbio gusto e cantiamo e balliamo insieme. Un giorno Lena mi si avvicina e mi dice: “Lo sai che ho fatto un film? Ora te lo mostro!”. La specialista del centro inserisce un dvd nel lettore e parte un documentario sulla vita di Lena. Ci sono immagini di lei più sorridente che mai che balla su un palcoscenico sulla sua sedia a rotelle, lei che realizza il suo sogno di vedere e accarezzare un cavallo e ancora lei che interagisce con un altro bambino e gli stringe la mano. Quando sono al limite della commozione, sullo schermo compare Lena, che guarda verso l’orizzonte fuori dalla finestra e descrive i suoi genitori, dicendo che avranno sempre un posto molto speciale nel suo cuore e spera di vederli presto. Il documentario finisce e compare la scritta “I genitori di Lena l’hanno abbandonata alla nascita.” E in quel momento crollo. Non posso continuare a sorridere ad oltranza. Fingo di andare in bagno perché non riesco a trattenere le lacrime. Come è possibile che dei genitori non desiderino vedere la loro stessa figlia? Hanno solo visto il problema in lei e si sono rifiutati persino di conoscerla. Non sanno cosa si perdono, Lena è un vero tesoro. Mi asciugo in fretta le lacrime, non è di questo che i bambini hanno bisogno. Loro vogliono solo avere qualcuno che gli dimostri che sono importanti, che li faccia ridere e che ascolti quello che hanno da dire. L’ultima cosa che vogliono è avere a fianco qualcuno che li compatisca e commiseri la loro situazione. Torno nella classe e Lena mi accoglie nuovamente con un sorriso. Le sorrido a mia volta come se niente fosse successo e la abbraccio dicendole che il suo film è bellissimo.