Don Michele Lievore: quattro oratori intorno a Sovere e una «pastorale d’insieme» per tenerli uniti

Don Michele Lievore, 40 anni, si occupa di quattro oratori: Sovere, Piazza, Sellere e Bossico. La sua è l’esperienza di un prete in un’aggregazione di parrocchie, «pastorale d’insieme», come dice lui. Sono 6.500 abitanti in tutto. La comunità di Bossico appartiene alla diocesi di Brescia ma viene gestita da preti di Sovere. «Siamo tre sacerdoti – racconta don Michele – e viviamo insieme a Sovere». Le distanze non sono insormontabili: Sellere, Piazza e Sovere sono molto vicine, nel raggio di un paio di chilometri. Un po’ più spostato Bossico, 7 chilometri più in là, ma con una strada di tornanti e 500 metri di dislivello. Una parrocchia «di montagna» con quasi mille abitanti.
Don Michele si occupa delle incombenze legate all’ambito della catechesi e della pastorale giovanile: «Ci sono ovviamente – sottolinea – le celebrazioni quotidiane e poi l’organizzazione degli incontri con i genitori, la formazione degli animatori, l’organizzazione del Cre, le attività con gli adolescenti, la catechesi». Prima che le parrocchie fossero “accorpate” in questa gestione comune a Piazza, Sellere e Bossico c’era il parroco, a Sovere c’era anche il curato: i preti erano 5, ora sono tre, ma lavorano in modo diverso, ognuno si occupa di un settore, trasversalmente su tutte le parrocchie. E la comunità come ha reagito? «La risposta è stata buona. Certo abbiamo proposto in questo modo un nuovo modello di presbitero: prima c’era un solo prete che faceva tutto, adesso anche i laici si rapportano in modo diverso con i diversi preti a seconda dei compiti svolti. In questo modo c’è trasversalità territoriale ma omogeneità di pastorale».
In questo modo le comunità si avvicinano e condividono alcuni momenti: «Quando programmo un’attività – spiega don Michele – la propongo a tutte le parrocchie. Anche la formazione viene coordinata per tutti. Fra l’altro io insegno alle scuole medie di Sovere, dove confluiscono anche i ragazzi delle altre parrocchie, 250 in tutto. Questo mi permette di conoscerli anche in un ambito diverso e sotto il profilo educativo. Le attività a volte si svolgono nelle parrocchie, altre volte cerchiamo di individuare un campo neutro: non si può sempre chiedere di spostarsi: in qualche caso è possibile, in altri usciamo tutti insieme dalle comunità di origine e ci troviamo in un luogo diverso».
Il prete diventa colui che armonizza le differenze:«Comunità diverse hanno sensibilità e approcci diversi e bisogna tenerne conto. La partecipazione dipende sempre dalle proposte che si fanno. Tante volte è difficile innestare modelli nuovi su storie differenti. Sicuramente seguire alcune esperienze insieme può aiutare oppure può essere una fatica, dipende dal modo in cui vengono vissute. L’aspetto dello studio e della ricerca pastorale provoca ad argomentare, sentire, formarsi con corsi e piccoli aiuti per leggere la realtà con occhi diversi».
Obiettivo costante dell’azione pastorale di don Michele resta quello di aiutare i ragazzi a crescere e a camminare da soli, senza dipendere da un prete. “ALtrimenti ogni cambiamento diventa un problema. Se siamo abbastanza capaci di far crescere i laici aiutandoli, sostenendoli, affiancandoli e alla fine riescono a continuare da soli questo è un successo. Non funziona più il modello in cui è il prete a fare tutto”.
La preghiera resta un momento fondamentale che alimenta tutto il resto: “Ogni tanto viene la tentazione di trascurare un po’ questo aspetto – sottolinea don Michele -. Però è evidente che non basta fare, bisogna anche saper dare senso alle azioni, ecco perché bisogna pregare, meditare. Io do priorità alla parola di Dio perché agisca nella mia vita e possa darmi delle linee guida. Propongo queste cose anche ai ragazzi ma cerco di farlo in modo accattivante e fresco: la sfida con loro è trovare nuovi linguaggi”.