La preghiera è il carburante del sacerdote. Il tempo e gli orari non gli appartengono

Nel dinamismo di una giornata, che finisce sempre dopo le dieci di sera, uno spazio per la preghiera non va rubato all’indaffararsi quotidiano ma è la fonte di quel fare instancabile. La gente deve vedere, deve sorprendere il suo parroco a pregare, meditare, a leggere, per sentirsi aggiornato. Eppure anche il sacerdote ha il diritto di provare stanchezza.

«Tutti sono in ferie. È ferragosto. Problematico è persino trovare un medico e organizzare il funerale per la morte improvvisa di nostro padre. Ma lei, signor parroco (don per i più confidenziali) è qui con noi. E questa sera pregheremo anche il rosario con i pochi condomini che sono rimasti a casa». La presenza del sacerdote non è casuale. È un segno evidente della capillarità della rete ecclesiale in merito ai bisogni delle persone. Mostra persino la tenuta di un cattolicesimo sociologico anche nelle città più secolarizzare del nord del Paese.
Normalmente le parrocchie sono a tempo pieno. Non conoscono limiti di orario. Qualche falla si avverte con la diminuzione dei sacerdoti. Ma non raramente sono i laici a presidiare la parrocchia. Diversamente i laici si lamentano se trovano chiuso. Anzi hanno l’abitudine di rivolgersi al proprio sacerdote, che magari conoscono poco, nelle ore di pranzo e di cena. Ed ecco che il proprio parroco che vive del sostentamento del clero e non può permettersi una signora che pensi al pranzo, sta preparandosi un po’ di cena, non raramente, talvolta d’abitudine la domenica c’è sempre qualche famiglia organizzata con altre che a pranzo arriva con un vassoio per il loro “Don”. Almeno il Papa, scherza il “don”, vive a Santa Marta, dove qualcosa trova sempre.
Noi – sottolinea un altro sacerdote – dovremmo essere un po’ più ordinati e, per lo meno, mangiare quasi ad orario. Ma è impossibile. E così finisce che qualcuno si siede accanto a noi e ci fa compagnia.

Talvolta abbiamo l’impressione di non possedere più la nostra vita. Se non siamo attenti finiamo con l’accelerare la preghiera, riducendola a spazi precari.
È vero il sacerdote non è funzionario, un impiegato ad orario. Del resto come farebbero le nostre parrocchie a stare in piedi senza una disponibilità totale? Finisce il periodo del catechismo ed ecco che il cortile, i campi delle parrocchie brulicano di ragazzi. La verità è che i ragazzi sono a casa da scuola e chi bada alla maggioranza di essi se non le attività dei grest, dei campi estivi? L’età, spesso elevata dei sacerdoti, non frena tutto questo movimento perché la parrocchia è ancora una scuola di volontariato. Ragazzi più grandicelli, mamme casalinghe, nonni danno tutti una mano.
Ha ragione Papa Francesco a constatare che i sacerdoti sono servitori a tempo pieno. Il tempo con i suoi orari non appartiene al presbitero. Ma anche Cristo con i suoi apostoli, come ricorda il Santo Padre, si ritira a pregare. È la preghiera il carburante del sacerdote. Non è lui che converte, ma Cristo. E allora nel dinamismo di una giornata, che finisce sempre dopo le dieci di sera, uno spazio per la preghiera non va rubato all’indaffararsi quotidiano ma è la fonte di quel fare instancabile. La gente deve vedere, deve sorprendere il suo parroco a pregare, meditare, a leggere, per sentirsi aggiornato.
Eppure anche il sacerdote ha il diritto di provare stanchezza. Talvolta di rammaricarsi che il suo impegno pastorale non dà i frutti che umanamente s’aspetta. È un uomo che ha bisogno di una “carezza” non sentimentale ma di incoraggiamento. Su di lui pesano pure i suoi limiti, i suoi difetti. È in vetrina, sempre sotto osservazione, vorrebbe nasconderli. Ma pure i suoi limiti sono pubblici mentre su di essi si scaricano anche le debolezze della Chiesa universale.

Anche lui ha bisogno di bussare a qualche porta per essere ascoltato, amato dal suo Papa. Non è un eroe ma un innamorato sì. Di Cristo. Della sua Chiesa, dove ogni giorno fa memoria di Cristo nell’Eucarestia. È la sua forza quotidiana. E le parole del Papa, se si addolciscono anche quando debbono rimproverare, non fanno che confermarlo nel dono di sé, nel suo innamoramento per la Chiesa che ama con i limiti che essa mostra anche in alto.