Per seguire Gesù, non basta essere generosi. Bisogna essere concreti

Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé (Vedi Vangelo di Luca 9, 51-62. Per leggere i testi liturgici di domenica 26, tredicesima del Tempo Ordinario “C”, clicca qui)

IL VIAGGIO VERSO GERUSALEMME

Con il passaggio evangelico di oggi ha inizio nel vangelo di Luca la parte centrale e più importante: è il “viaggio” di Gesù verso Gerusalemme. Finora, infatti, nel terzo vangelo, l’attività di Gesù era stata concentrata in Galilea. Ora essa si sposta verso Gerusalemme, punto di arrivo dell’intera vicenda di Gesù. Luca inizia raccontando che tutto parte da un punto preciso: Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto: è la stessa frase che si trova negli Atti degli Apostoli, quando Luca inizia a descrivere l’avvenimento della Pentecoste. Così i due fatti si corrispondono: qui è l’inizio della grande parabola del mistero di Cristo, là, negli Atti, è l’inizio della grande parabola del mistero della Chiesa.

Gesù si dirige dunque verso Gerusalemme. Alla lettera: “fece il viso duro”. Anche qui si deve registrare una coincidenza: la stessa espressione si trova in uno dei “carmi del servo sofferente” del profeta Isaia: Il Signore Dio mi assiste, per questo non resto confuso, per questo rendo la mia faccia dura come pietra, sapendo di non restare deluso (Is 50, 7). L’espressione indica la sicurezza di Gesù nel prendere la sua decisione e la sua totale fiducia nel Padre.

GLI ERETICI DELLA SAMARIA 

Per passare dalla Galilea, al nord, e andare a Gerusalemme, che si trova nella Giudea, a sud, Gesù deve passare dalla Samaria che si trova al centro. Gli ebrei, da sempre, considerano eretici i Samaritani e li trattano ostilmente e i samaritani ricambiano l’ostilità. Gli abitanti di un villaggio samaritano dove Gesù vorrebbe entrare rifiutano di accoglierlo. Allora due degli apostoli, i fratelli Giacomo e Giovanni, vorrebbero ripetere quanto aveva fatto Elia contro un villaggio che non lo aveva accolto: Se sono uomo di Dio, scenda il fuoco dal cielo e divori te e i tuoi cinquanta. Scese il fuoco dal cielo e divorò quello con i suoi cinquanta. Giacomo e Giovanni sono soprannominati i “figli del tuono”: hanno un carattere impulsivo. Ma il modo di agire di Gesù non è quello della forza e della prepotenza, sia pure per affermare il proprio messaggio. Per questo rimprovera i due  fratelli.

IL FIGLIO DELL’UOMO NON HA DOVE POSARE IL CAPO

Dunque, i discepoli sono tentati di usare la forza e la violenza, Gesù, invece, accetta il fallimento e la morte. Già era avvenuto così all’inizio del vangelo di Luca, ora, all’inizio della parte centrale del vangelo stesso, tutto si ripete. Ma Gesù non sembra spaventarsi per questo. Ribadisce, anzi, quali sono le condizioni per stare con lui e fare con lui il difficile viaggio verso Gerusalemme. Egli è il missionario itinerante, senza fissa dimora. Chi gli va dietro condivide il suo stesso modo di vivere: non ha dove posare il capo, vive una vita più difficile di quella degli uccelli del cielo che, invece, hanno un nido e delle volpi che hanno una tana. Eppure, nonostante questo, chi lo segue entra nella vita; chi, invece, lo rifiuta resta nella morte. Per questo bisogna decidersi subito: è una decisione vitale, più urgente che salutare i propri parenti rimasti a casa. Non bisogna mettersi ad arare e guardare indietro. Si deve fare come Eliseo, il profeta, che quando era stato chiamato da Dio, aveva spezzato tutti i suoi strumenti di lavoro, a significare il taglio netto con tutto il mondo che veniva prima della chiamata.

“NON SARETE SENZA ME”

Dunque la conversione è un radicale convertirsi “al Signore”, per stare con lui. Ma perché la conversione sia vera, il desiderio di conversione non deve solo essere genericamente generoso: “dovunque tu vada”. Gesù non rifiuta la generosità, ma chiede che essa tocchi terra, che accetti un “luogo” preciso. La generosità “si gioca” di fronte ai propri morti, al proprio lavoro (vedi Eliseo), alla propria vita concreta. Coloro che sono sempre “altrove” non sono mai con il Signore.

Dal “Quinto evangelio” di Mario Pomilio. L’autore immagina che uno studioso ha scoperto un testo di san Giovanni della Croce con due frasi che forse risalgono a Gesù e che dicono bene il senso della vocazione cristiana e ne scrive a un suo interlocutore: “Ma perché tu scorga meglio il pregio di quel libro, eccoti altre due massime che certamente, dopo averle udite, giudi­cherai anche tu ispirate divinamente. La prima, che dice co­sì: «Noi viviamo sull’altra riva», raffigura, ritengo, al più al­to grado la nostra condizione e il principio della nostra ascesi, il nostro essere nel mondo senza appartenere al mon­do. Attraverso la seconda ho finalmente compreso in che co­sa consiste quell’attesa del Regno della quale si parla così spesso nel Vangelo…. Si trova in un luogo dove il Cristo spiega che l’essenza del suo evangelio sta nella Carità e suona a questo modo (che a me pare dolcissimo): “Sarete senza Leg­ge, ma non senza di me”.